Questo articolo è apparso lo scorso 14 maggio su Huffington Post.
Mentre all’interno dell’Occidente le diseguaglianze crescevano, per la prima volta, almeno dall’800, la diseguaglianza complessiva di reddito del mondo si è ridotta al di sotto del picco storico raggiunto fra anni ’70 e ’90. Questo fenomeno è dovuto in larga misura al fatto che, anche in presenza di condizioni concorrenziali e di un’accresciuta libertà di circolazione, Cina e India sono tornate, con una veloce industrializzazione, sulla frontiera dello sviluppo.
Ciò ha dato impulso all’uscita dalla povertà di centinaia di milioni di persone e alla formazione di un nuovo ceto medio, vasto oggi come quello dell’Occidente, che, al contrario ha assistito a una crescita del reddito minima o nulla, e nei casi peggiori, ha visto arretrare le proprie condizioni socio-economiche. Come aiutare i “perdenti” della globalizzazione, lasciati indietro da un mondo che corre, spinto anche dalla non regolata finanziarizzazione dell’economia?
Secondo Leonardo Becchetti, professore di Economia all’Università di Tor Vergata, oggi la sfida si vince solo se si punta sulle competenze:
“La vera linea di confine è tra gli altamente qualificati e i poco qualificati perché nella globalizzazione i lavoratori ad alto reddito competono con lavoratori con la stessa qualifica dei paesi a basso reddito, che formano una sorta di esercito di riserva, utilizzato dalle aziende che cercano di ottimizzare i costi”.
Questa contrapposizione tra paesi, “questa guerra tra poveri che ha sostituito la guerra alla povertà“, per usare un’espressione dell’economista Giorgio Gomel, sta facendo emergere ovunque il desiderio di ergere muri che definiscano confini e limiti. Si pensi ad esempio alla tanto sventolata politica trumpiana dei dazi che però, secondo Becchetti, non rappresenta la strada giusta per limitare l’ingresso di merci dei paesi non occidentali, spesso prodotte senza alcun rispetto dei lavoratori e in violazione dei diritti umani.
E allora che fare?
“Bisogna risalire la scala delle competenze, sfruttare la nostra capacità di fare le cose e di non competere al ribasso. Seconda cosa, dobbiamo creare rete di protezione universale e abilitante per chi è escluso da questi processi. La terza cosa è cambiare le regole del commercio, creare dei sistemi che io chiamo green social consumption tax, imposte sui consumi verdi o sociali: un sovracosto che si applica contro il dumping sociale in qualsiasi paese si realizzi, e che dovrebbe valere anche per i prodotti italiani che abbiano dentro di sé uno sfruttamento del lavoro”.
La diminuzione della disuguaglianza a livello globale ha concorso all’aumento delle disuguaglianze all’interno dei paesi, connotate da una forte dimensione territoriale e dal rischio alto di insostenibilità politica che possono generare.
“C’è un insieme di sentimenti confusi, fatta di rabbia, paura, risentimento, ricerca di capri espiatori”, commenta Gomel, che aggiunge “Due fenomeni sono molto inquietanti, in Italia come altrove. Uno è la critica forte e in alcuni casi indifferenziata delle élite e l’altra è l’esaltazione delle appartenenze etno-nazionali da difendere, contro la globalizzazione e contro l’immigrazione.”
In questo quadro le forze progressiste, e la cittadinanza attiva, hanno il dovere di intervenire per ridurre la disuguaglianza e porsi come obiettivo la lotta contro la deriva xenofoba. “È tempo di sottolineare l’importanza dell’assunzione di responsabilità, a ogni livello, a partire dal nostro, personale, per contrastare la cultura dell’indifferenza e dello scarto”, ricorda il Cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e presidente di Caritas Italiana, che aggiunge “Possiamo operare cambiamenti significativi attraverso piccoli e grandi gesti di cura per il creato: con la sobrietà nell’uso delle risorse che abbiamo a disposizione e con l’attenzione alle pratiche quotidiane che divorano il nostro pianeta, a discapito dei più poveri e delle generazioni future.”
Ridurre la disuguaglianza, a livello globale e locale, è una sfida complessa, non solo economica, e che i governi possono vincere solo compiendo scelte radicali che guardino non solo alla redistribuzione, ma anche all’origine della formazione della ricchezza che, nonostante i progressi di alcuni paesi, è ancora essere detenuta in modo estremamente diseguale.