La Direttiva sui doveri di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità è stata approvata lo scorso maggio: l’Unione europea introduce obblighi di due diligence sul rispetto di diritti umani e ambiente per le grandi imprese
Il 24 maggio l’Unione europea ha approvato la Direttiva sui doveri di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità (cosiddetta ‘Direttiva CSDDD’ o ‘Direttiva CS3D’). La Direttiva trae origine da una proposta presentata il 23 febbraio 2022 dalla Commissione europea. La proposta ha subito numerose modifiche rispetto al testo originario, prima sulla base degli emendamenti presentati dal Parlamento europeo e delle richieste avanzate dal Consiglio, per poi approdare nel dicembre 2023, dopo un negoziato condotto dalle istituzioni nella forma del trilogo, a un accordo politico. Prima di essere definitivamente approvato, il contenuto concordato in quella sede è stato tuttavia a sua volta modificato nell’ambito del processo di voto in seno al Comitato COREPER del Consiglio.
La Direttiva rappresenta un passaggio fondamentale nella garanzia dei diritti umani, dei lavoratori e dell’ambiente nelle catene globali del valore. Essa prevede tre principali ambiti d’azione: 1) l’introduzione di obblighi per le imprese in merito agli impatti negativi, effettivi e potenziali, sui diritti umani e l’ambiente, riconducibili alle loro attività, alle attività delle loro società controllate e dei partner che operano nelle loro catene di attività (cosiddetti obblighi di due diligence); 2) la responsabilità civile delle società per violazioni dei diritti umani e dell’ambiente lungo le catene di attività, riconducibili all’inadempimento degli obblighi menzionati e 3) la previsione dell’obbligo per le imprese di adottare e attuare piani di transizione per la mitigazione del cambiamento climatico. Non saranno invece introdotti, diversamente da quanto richiesto dalla Commissione, nuovi obblighi degli amministratori in materia di sostenibilità. Dal punto di vista soggettivo, la Direttiva prevede di applicarsi alle società di grandi dimensioni – dopo lunga trattativa identificate nelle società (o nelle società madri di gruppi) con più di 1000 dipendenti e un fatturato complessivo superiore a 450 milioni di euro nell’ultimo esercizio finanziario o, alternativamente, che hanno concluso accordi di franchising o di licenza nell’Unione per ammontare superiore a una determinata soglia – sia aventi la propria sede sul territorio di uno Stato membro dell’Unione europea, sia al di fuori dell’Unione ma che raggiungono il mercato europeo con i propri prodotti e servizi e ivi generano il fatturato richiesto (fermo che le società non europee sono identificate sulla base del solo criterio del valore del fatturato).
L’obbligo di due diligence in materia di sostenibilità – riferito al rispetto dei diritti umani e degli standard ambientali elencati negli Allegati della Direttiva – è da intendersi come un obbligo di mezzi, ossia un obbligo che viene assolto dalle società ponendo in essere le misure ragionevolmente necessarie per effettuare la mappatura degli impatti negativi, effettivi e potenziali, sui diritti umani e l’ambiente, la prevenzione degli abusi e il loro rimedio o la loro mitigazione. La sua attuazione deve avvenire con il coinvolgimento efficace degli stakeholders. Come detto, esso si estende alle attività della società stessa, delle sue controllate e dei partner commerciali inclusi nella sua catena di attività, anche al di fuori dell’Unione europea. La catena ricomprende tanto i partner che a monte operano nella produzione di beni o nella fornitura di servizi (comprese le fasi dell’estrazione, dell’approvvigionamento, della produzione, del trasporto, della fornitura di materie prime, di prodotti o parti di prodotti), quanto quelli che a valle svolgono attività correlate alla distribuzione, al trasporto e allo stoccaggio dei prodotti. L’obbligo di due diligence copre, inoltre, i partner contrattuali diretti e indiretti. La mappatura degli impatti tiene conto, tuttavia, dei fattori di rischio rilevanti e si fonda sull’individuazione preliminare di aree generali dove è più probabile che gli impatti negativi si verifichino e siano più gravi. Le società, qualora non riescano ad arginare tutti gli impatti, possono attribuire priorità a quelli negativi più gravi e più probabili.
Tra le misure necessarie per soddisfare i nuovi obblighi vi sono l’adozione di piani di prevenzione e correttivi, le modifiche delle politiche di acquisto e l’introduzione nei contratti conclusi con i partner commerciali (e, a loro volta, con i sub-fornitori) di clausole – redatte in conformità con i nuovi obblighi e correttamente adempiute – che regolino gli obblighi reciproci e l’impegno a collaborare al fine di ottemperare a quanto richiesto dalla Direttiva. In particolare, nel caso si verifichi un abuso presso un partner commerciale la Direttiva richiede che la società valuti l’opportunità di sospendere o interrompere il rapporto anche soppesando le conseguenze, a loro volta eventualmente negative, di tale interruzione/sospensione e, in ogni caso, agisca per rimediarne gli impatti negativi sui diritti umani e l’ambiente. La Direttiva prevede che, qualora i partner contrattuali siano piccole e medie imprese, esse debbano essere co-adiuvate nell’adempimento degli obblighi previsti dai contratti in materia di due diligence, ad esempio con assistenza, training o sostegno finanziario.
La garanzia del rispetto degli obblighi introdotti dalla Direttiva è affidata a due metodi: il public enforcement, ossia la supervisione e, se del caso, la sanzione da parte delle autorità pubbliche di sorveglianza, che verranno istituite in ciascuno Stato membro e che potranno anche ricevere segnalazioni circostanziate e comminare sanzioni pecuniarie fino al 5% del fatturato annuo; e il private enforcement, ossia l’insorgere della responsabilità civile delle imprese, per il caso in cui l’inadempimento degli obblighi di due diligence abbia causato il verificarsi di violazioni dei diritti umani o dell’ambiente presso la società stessa, le sue controllate o i suoi partner contrattuali coinvolti nella catena di attività, ovunque essi operino. È previsto che gli Stati debbano regolare la possibilità per sindacati e organizzazione non governative di presentare ricorsi a tutela delle vittime di violazioni.
In materia di cambiamento climatico, infine, la Direttiva stabilisce che le società adottino e attuino piani di transizione per la mitigazione dei cambiamenti climatici finalizzati a garantire, attraverso i migliori sforzi, che il modello di business e la strategia aziendale siano compatibili con la transizione verso un’economia sostenibile e con la limitazione del surriscaldamento globale a 1,5 °C in linea con l’Accordo di Parigi e con l’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. A questo fine, il piano deve indicare obiettivi e scadenze fino al 2030 e in fasi quinquennali fino al 2050, sulla base di prove scientifiche e adeguati indicatori di misurazione, e deve includere la descrizione delle principali azioni previste per raggiungere tali obiettivi, compresi, se del caso, i cambiamenti nei prodotti e nei servizi offerti dall’impresa, l’adozione di nuove tecnologie, oltre che la spiegazione degli investimenti e dei finanziamenti a sostegno della sua attuazione e del ruolo degli organi di amministrazione, direzione e controllo, e i progressi raggiunti. Il monitoraggio è affidato alle autorità pubbliche di sorveglianza, tenute, in questo specifico ambito, a vigilare che i piani siano adottati e progettati conformemente ai requisiti previsti dalla Direttiva.
Le società saranno tenute a rispettare gli obblighi descritti a partire da 3 anni dall’adozione della Direttiva, o al più tardi entro 5 anni per le società di minori dimensioni tra quelle che comunque rientrano nell’ambito d’applicazione. Il contenuto di tali obblighi sarà specificato nelle normative di recepimento che i singoli Stati membri dell’Unione europea dovranno adottare e con cui introdurranno la due diligence delle imprese sui diritti umani e l’ambiente nei loro ordinamenti.
Angelica Bonfanti insegna all’Università degli Studi di Milano.
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