Su twitter è nato un dibattito sul ruolo dei think tank come luoghi di elaborazione, di confronto e di diffusione di idee e proposte di politiche pubbliche. Il ForumDD ha deciso di ospitare alcuni approfondimenti utili al confronto. Il contributo di Marco De Ponte*
Guidando Actionaid – che ho provato a costruire indipendente economicamente, collaborativa sul territorio e nei network e certamente riflessiva sul “dover essere” della società in cui opera – si vive ogni giorno quello che sembra uno sforzo continuo di tenere assieme ruoli diversi. Da dentro e da fuori i più chiedono che tu agisca come maitre-a-penser (sic!), aiutando tutti a vederci chiaro sul futuro, a sistematizzare l’impegno su basi valoriali e contribuendo a organizzare la governance che regola o dovrebbe regolare l’agire dello Stato nel suo insieme, quando tenta di redistribuire opportunità, risorse e tutelare i diritti delle persone; poi però “da dentro” ti chiedono anche di determinare come ci si dispone in ufficio, come si risponde a un collega, di analizzare contratti e di correggere testi in bozza … e “da fuori” l’opinione pubblica e lo Stato (che fatica ad individuare una strategia per se stesso) chiedono di spendere poco, ma al contempo dare conto dei centesimi di euro, dei processi, di come posizioni le virgole dello statuto, di come descrivi gli output di progetti…
Ci si prova a giostrare tra questi ed altri compiti “di cucina” cercando di non perdere mai di vista il fatto che una società senza visione di se stessa si accontenta piano piano di uno Stato miope, capace magari di regolare sommariamente, ma non promuovere lo sviluppo sostenibile del paese (e tanto meno, dunque, del pianeta). Con uno sforzo quotidiano cerco di tenere la testa fuori dall’acqua, eppure quando ci riesco spesso è solo perché ai giorni si aggiungono le sere e le notti. Confrontarsi con il fare è un privilegio che evita il pericolo di indulgere in prediche ad altri che potrebbero apostrofarti come “professorone” solo perché ti fermi a pensare; però identificare dei buchi del sapere e quindi di visione di chi guida il Paese nelle istituzioni può – a tratti – risultare anche sconfortante. Ti domandi inevitabilmente chi dovrebbe fare questo sforzo. Possibile che “siamo noi” a dovercene fare carico?
Per reagire allo sconforto serve non solo saper guardare lontano, ma anche provare a guardare tutto un po’ “da lontano” e rimboccarsi le maniche mentre si sta “in cucina”. Da questo punto di osservazione, trovo che il dibattito sul ruolo del Forum a cui reagisco oggi (Barbera, Diletti, Mazzonis, Tulumello) sia interessante perché si sviluppa tra persone che conosco, ma anche insieme ad altri che non ho mai incontrato, per fortuna. Credo che questo sia un risultato legato al fatto che il Forum è nato e cresciuto per generare saperi, ma anche – e forse prima – luoghi per un dialogo aperto ed informato. Se non si riconosce che quest’ultimo (e gli spazi per svolgerlo) sono la prima delle necessità della società, si rischia – a mio modo di vedere – di perdere di vista la sfida fondamentale che è sempre comunque quella di dare vita non solo a saperi da riflettere poi in politiche pubbliche, ma – prima – ad un campo di gioco in cui la democrazia possa acquisire o mantenere qualità ben oltre il momento elettorale.
Ho avuto un po’ di intuizione (con altri, beninteso) nel pensare anni addietro all’impatto che sulla società italiana ha avuto il progressivo esaurirsi del ruolo di “incubatori del dialogo democratico” rispettivamente giocato (per semplificare) da Case del Popolo e parrocchie. Le culture politiche che in quei luoghi si svilupparono per gran parte del dopoguerra si sono trovate senza ossigeno, di conseguenza i partiti sono mutati in cartelli elettorali sempre più vuoti di contenuti specifici, ma anche di orientamento ideologico e visione di fondo. Il popolo è rimasto senza parametri per orientarsi sulle scelte “ultime” e la società civile organizzata si è sempre più ridotta a fungere da strumento per l’esecuzione di progetti e programmi concepiti altrove, nelle istituzioni o nei luoghi dove si controlla il capitale, ma in assenza di un vero disegno trasformativo della società.
Actionaid stessa ha preso coscienza lentamente del fatto che tra tanta società civile che di fatto si organizza per sostituire a basso costo un Welfare State sempre più manchevole, solo pochi, troppo pochi, pochissimi sono gli attori “willing AND able” di giocare su vari piani, aprendo e chiudendo un cerchio che passa dall’esperienza locale, al monitoraggio delle scelte istituzionali, alla proposta specifica, fino alle proposte eventualmente “di sistema”. Molti si guardano la punta dei piedi e si accontentano di mettere le pezze ad un sistema che non è più nemmeno un vero sistema intellegibile, tanta è la frammentazione l’incoerenza delle politiche pubbliche che si sommano l’una all’altra intrecciandosi e magari smentendosi in “riforme delle riforme” che non tengono conto del monitoraggio degli impatti reali. Ma raccogliere esperienze, farne tesoro e proporre è certamente il ruolo che dovrebbero giocare attori civici maturi, come proviamo ad essere noi e qualcun altro.
Un raccordo “dalla A alla Z”, “dal micro al macro” (e viceversa) oggi possono provare a produrlo solo soggetti che nel loro insieme maturino esperienze dirette dei problemi, che abbiamo capacità riflessiva e che contemporaneamente si sforzino di comunicare la propria prospettiva direttamente o svolgendo un lavoro da “convenor” di altri soggetti. E’ una ambizione forse ciclopica per chi ha qualche decina di dipendenti e appena qualche milione da mettere in campo ed è una cosa nemmeno concepibile per dei semplici think tank. Ed è – sia chiaro – ben di più di quanto comunque facciano attori propensi “solo” al monitoraggio per rendere le istituzioni accountable verso i cittadini, anche in paesi del nord Europa e del nord America a cui spesso guardiamo (talvolta a sproposito) con gelosia civica.
Già… perché – e questo è il privilegiato punto di osservazione di chi opera in un network internazionale – scordiamoci che siano poi molti i soggetti che si ingaggino su tutta la filiera “dal progetto solidale alla governance della cosa pubblica” nemmeno nel mondo anglosassone! Anzi… la mia esperienza è che in quei paesi l’abitudine ad un dialogo più istituzionalizzato con la politica abbia reso molto meno radicali del necessario attori pure a noi vicini (ed anche i nostri stessi colleghi): spesso – troppo spesso – ci si accontenta di far parte di un sistema di dialogo un po’ di cortesia e fioretto sulla cui transizione e declino si preferisce chiudere gli occhi. Insomma anche li si sta un po’ troppo al gioco mentre la casa brucia.
E allora?
Allora si! Per cambiare le politiche serve essere in grado di generare saperi, ma a monte è necessario desiderare (e saper) influenzare il senso comune: in questo il Forum – che non è un think tank – è stato chiaro da subito, almeno nel posizionarsi rispetto alla questione del “merito” presunto di chi possiede ricchezza. Senza questa chiarezza non credo che noi di Actionaid ed altri avremmo risposto positivamente all’idea grezza del sodalizio accademia/società civile, giacchè da solo questo binomio può significare anche nulla di nulla: senza l’aspirazione ad una inversione ad “u” del senso comune e la voglia di mettere in campo proposte radicali, molte collaborazioni tra accademia e “terzo settore” rimangono irrilevanti.
In realtà il modello del pensiero articolato da studiosi che poi fa perno su una parte della società civile per trarne forza ed influenzare i decisori politici era stato già sperimentato da Actionaid (assieme tra l’altro ad attori anche molto diversi come Caritas) anche per esempio nel quadro dell’Alleanza contro la Povertà (che è stato per dir la verità una alleanza di scopo per la promozione del REIS). La riflessione di persone non necessariamente militanti ha accompagnato esperimenti come Italia Sveglia! con il suo Festival della Partecipazione o altre aggregazioni di cui non tento nemmeno la lista.
Ma con il Forum DD si è fatto un passo avanti, passando da una segregazione dei ruoli tra chi “pensa” e chi “fa” ed a tratti “influenza” ad una vera co-creazione di “sapere per cambiare”. Non solo può, ma deve succedere di nuovo che il senso comune muti radicalmente su tanti fronti: non so se ce la faremo, ma quel che dico con certezza avendo contribuito a mettere insieme l’esperienza del Forum è che a noi era chiaro da subito il fatto che non esistiamo solo per fare un trattino di strada assieme su un paio di questioni specifiche; esistiamo per abbracciare l’intero spettro delle sfide che una società in crisi deve affrontare, a partire da quella di una maggiore giustizia sociale, ma sapendo che questa è possibile solo se davvero funziona in sostanza la democrazia.
Non abbiamo mai avuto la presunzione di poter essere prescrittivi su qualunque vicenda, ma credo abbiamo chiarezza invece totale sulla magnitudine della sfida e sugli ingredienti necessari per coglierla appieno.
- Sappiamo che ruolo di attori civici interessati al cambiamento è ruolo a cui aspirano purtroppo in pochi, ma proprio per questo è ancor più necessario che chi ci vuole provare se ne faccia carico, ben oltre i confini di un “terzo settore” pensato come “assemblaggio di charities” al servizio di uno stato apparentemente senza guida di lungo termine.
- Sappiamo che chi vuole cambiare la società deve avere chiara la power analysis (interessi e poteri) relativa al contesto in cui opera e deve avere risorse indipendenti e skills da mettere sul tavolo… così abbiamo costruito AA e la abbiamo messa a disposizione – piccola ma completa – anche dentro l’esperienza Forum DD.
- Sappiamo che nulla si fa da soli, pensando solo alla propria crescita (o sopravvivenza); invece grandi cose sono possibili aggregando capitale sociale oltre che saperi, definendo bene alleati tanto “di scopo” che “di sistema” ed anche identificando chiaramente i propri “nemici” per un campaigning efficace. Questo perché il potere si negozia sempre dovendone togliere a chi ne ha troppo se si desidera recuperarlo per chi ne ha troppo poco.
Il vero “nemico del popolo” sempre più privato di potere reale è la disabitudine, assecondata da molti per convenienza, pigrizia o mancanza di mezzi, a partire dai dati per poi riflettere sui fatti in un quadro ideale, ideologico e valoriale chiaro. In questa disabitudine crescono qualunquismo e l’idea che bastino quick fixes o azioni simbolo per ristabilire qualche parvenza di eguaglianza. Nel Forum DD abbiamo detto spesso che – come per la tela di Penelope – è forte il rischio che quanto lo Stato prova a redistribuire di giorno venga però pre-distribuito in senso contrario di notte per via dei meccanismi di accumulazione di capitale e potere, che sono andati strutturandosi negli ultimi decenni. Ebbene… il FDD stesso a mio modo di vedere è un mezzo per restituire capacità di articolare proposte ad una democrazia ormai svuotata di sostanzialità dall’assenza di soggetti capaci di animarla. In questo senso – animare il Forum, ancor prima che essere utile a mettere sul piatto proposte specifiche – è secondo me una operazione “di sistema” sulla qualità della democrazia italiana.