Su twitter è nato un dibattito sul ruolo dei think tank come luoghi di elaborazione, di confronto e di diffusione di idee e proposte di politiche pubbliche. Il ForumDD ha deciso di ospitare alcuni approfondimenti utili al confronto. Il contributo di Mattia Diletti*
Al principio di questo dibattito un tweet del giornalista e ricercatore Martino Mazzonis, che riprende un articolo dell’Economist. L’articolo discute della breccia culturale aperta da Jeremy Corbyn nel sistema politico inglese, raccontando dei pensatoi e delle figure vicine al Segretario del Labour che hanno orientato la definizione delle sue proposte di politica economica. Un’operazione “controegemonica” rispetto alla lunga fase neoliberista che la Gran Bretagna vive da 40 anni: non sappiamo se di successo – il successo è lontano: servono i risultati elettorali e le capacità di applicazione di nuove ricette economiche, al tempo stesso efficaci e di rottura – ma l’obiettivo è dichiarato e palese.
A Mazzonis risponde il Direttore della Rivista del Mulino Mario Ricciardi, ed ecco il dibattito a quattro voci che avete di fronte: Ricciardi sostiene che in Italia la sinistra non stia svolgendo alcun operazione comparabile. La mia opinione, in questo dibattito a colpi di tweet, è che un embrione significativo di creazione di cultura e know how “anti-liberista” sia oggi tracciabile nella ricerca/azione del Forum Diseguaglianze Diversità. Ed eccoci qui. Ma andiamo per punti.
- Ha ragione Ricciardi nel dire che per costruire “controegemonia” (non usa questo termine, spero mi perdoni) servono strumenti e mezzi. E che nessuno si pone il problema in modo serio. Per costruire un nuovo paradigma, ci insegna Kuhn, serve che una nuova comunità del sapere (in questo caso un sapere “politico”) sia pronta a subentrare a quella vecchia, quando le idee di quest’ultima appaiono obsolete a una congrua quantità di individui e gruppi. Non basta però che le idee siano davvero obsolete, serve anche una comunità organizzata pronta a sostituire quella che prima era al comando. Se le idee sono vecchie ma la nuova comunità non appare all’orizzonte, “il vecchio muore e il nuovo non può nascere”, per citare Gramsci.
2. Il nuovo si genera, se si ha fortuna, grazie alle crisi dei paradigma dominanti. Lo fu quella degli anni Settanta, tale da generare il ritorno di idee liberali considerate obsolete per decenni. Non furono solo le idee: vi furono anche gli uomini, le organizzazioni, i mezzi e gli interessi. Una infinita letteratura racconta il riemergere delle idee che generarono il neoliberismo: nuove idee in economie e nuovi modelli di governance nelle istituzioni.
3. Nella Grande Recessione della fine degli anni Duemila ci si sarebbe potuti aspettare che si riaprisse un ciclo politico favorevole a una nuova cultura economica e politica: per semplificare e americanizzare, un “New New Deal”, moderno e adeguato al mondo globale. Ritorno alla regolamentazione, un approccio innovativo al ruolo dello Stato nell’economia e alla lotta alle diseguaglianze. Ma questa è, davvero, solo teoria: troppa, acqua era passata sotto i ponti.
4. Per esempio, il nuovo campo di gioco: non esisteva nessuna sfida di sistema al modello liberale americano – ricordate quando Hobsbawm diceva che il più grande successo del campo sovietico era stato il welfare state occidentale? – e grande difficoltà a strutturare il campo dell’azione pubblica, specialmente in Europa e in una dimensione di governance nuova e multilivello. La cultura del campo socialista aveva, dal canto suo, accettato la fine dell’epoca del conflitto, compreso quello delle idee.
5. Quindi? Che c’entra tutto questo con il Forum Diseguaglianze e Diversità? C’entra. Anche semplicemente per essere entrato in gioco nel campo della battaglia delle idee, introducendo proposte in controtendenza con i paradigmi dominanti. Anzi, se una critica può essere portata, è che tutto questo serviva alcuni anni fa: non sappiamo se la politica sarebbe potuta essere più ricettiva, ma senza dubbio avremmo avuto più mezzi per aggredire le cause dell’insorgenza sovranista.
6. Ma l’obiettivo di questo breve intervento non è quello di giudicare la qualità delle proposte del Forum, ma piuttosto quello di ragionare sulla sua forma di intervento. Visto da fuori, il Forum presenta una novità indubbia: è un think tank – produce conoscenza diretta ai decisori e all’opinione publica – ma non è un think tank in senso tradizionale. E’ una federazione e un’alleanza sociale, che si dà un obiettivo politico e di conoscenza. La sua forma suggerisce una modalità di estrazione collettiva di conoscenze: un sapere “politico”, oggi, o è sociale, o non è. Serve un elemento di acquisizione e diffusione del sapere grassroots, orizzontale, capillare, popolare, semplificato e veloce, ma frutto di una conoscenza sofisticata (non si può semplificare in assenza di qualità dell’elaborazione).
7. Last but not least, l’attitudine che si deve avere quando si è arrivati a realizzare un lavoro di grande qualità come quello del Forum: dopo averle sviluppare, si è fatto si e no il 30% del lavoro. Serve ulteriore ricerca di risorse economiche e di personale (professionale e volontario); formazione; potenziamento di uffici stampa, social media manager e produzione di contenuti; attitudine al conflitto per occupare uno spazio nel mercato delle idee. La politica, oggi come oggi, non verrà a cercare le buone idee solo perché sono buone (chi si lamenta dicendo “non ci ascoltano” é meglio che passi ad altro mestiere): al decisore deve convenire investire su quelle idee perché sono popolari; perché quelle proposte di policy sono immediatamente attuabili e risolvono un problema qui e ora (raramente c’è il lungo periodo nella testa di un politico); perché ovunque vada sente parlare di quelle idee e si convince che sia quasi ineluttabile. E’ una partita di potere, e la guerra delle idee non è un pranzo di gala.