E’ stato presentato a Roma il Rapporto di Caritas Italiana, che riunisce in un unico volume la diciassettesima edizione dell’analisi sulla povertà e la quinta sulle politiche di contrasto.
Del Rapporto Caritas “Povertà in attesa” il primo dato che balza agli occhi è un valore percentuale: 182%. E’ aumentato in queste proporzioni il numero di poveri in Italia dagli anni pre-crisi. Un numero che racconta da solo le conseguenze della recessione e che si traduce concretamente nei 5 milioni e 58 mila di poveri assoluti. Dal rapporto scopriamo anche che la povertà tende ad aumentare al diminuire dell’età (oggi quasi un povero su due è minore o giovane), e che si attesta su livelli molto elevati tra i nuclei con soli componenti stranieri (29,2%).
I dati del Rapporto vengono dal lavoro capillare e prezioso che Caritas fa sui territori: 200.000 famiglie incontrate nei 2000 centri di ascolto in 185 diocesi. Rispetto al precedente rapporto diminuiscono le storie di povertà intercettate ma queste risultano più complesse, croniche e multidimensionali. L’età media delle persone incontrate è 44 anni. I giovani tra i 18 e i 34 anni rappresentano la classe con il maggior numero di presenze (25,1%). Al nord sono per lo più gli stranieri a rivolgersi alla Caritas (il 64,5%) mentre al mentre al Sud il 67,6% degli utenti sono italiani. In aumento la quota, piuttosto alta, di chi vive situazioni di fragilità da 5 anni e più (22,6%).
Risulta preoccupante e grave la situazione dei minori coinvolti in tali situazioni di fragilità, alla luce del fatto che tali deprivazioni materiali penalizzeranno irrimediabilmente il loro futuro, sul piano economico e socio-educativo. C’è inoltre una stretta correlazione tra la povertà educativa e la povertà economica: coloro che hanno un titolo di studio basso o medio-basso oltre a cadere più facilmente in uno stato di bisogno, corrono anche il rischio di vivere una situazione di povertà cronica non risolvibile in poco tempo. Desta preoccupazione la situazione dei giovani nella fascia 18-34 anni: il 60,9% dei ragazzi italiani incontrati (fuori dal circuito formativo e scolastico), possiede solo una licenza media e più in generale siamo penultimi in Europa per tasso di laureati (fa peggio solo la Romania) e primi per numero di Neet (oltre 2 milioni secondo l’ISTAT).
In linea con gli anni precedenti, nell’analisi dei bisogni spiccano anche per il 2017 i casi di povertà economica (78,4%), seguiti dai problemi di occupazione (54,0%) e dai problemi abitativi (26,7%), questi ultimi in aumento rispetto al 2016. Sebbene ci sia una correlazione tra la povertà e la condizione occupazionale, il 46,1% degli utenti non manifesta esplicitamente problemi occupazionali; le richieste più frequenti sono quelle relative a beni e servizi materiali (62,1%), in crescita rispetto al 2016.
Le politiche di contrasto
Il Reddito di inclusione, introdotto dal precedente governo e prima misura di questo tipo in Italia, ha raggiunto fino a giugno 2018 il 60% degli aventi diritto. Dal 1° giugno 2018, venuti meno i criteri familiari, quindi la condizionalità per la ricezione del trasferimento, la grave povertà costituisce l’unico requisito d’accesso, e questo significa che la platea degli aventi diritto si è allargata fino a raggiungere la quota di circa 2,5 milioni d’individui, cioè la metà di quei 5 milioni in povertà assoluta oggi presenti in Italia. Il REI, che vede il ruolo centrale delle amministrazioni comunali, ha inoltre messo in moto tutti i servizi territoriali di accompagnamento alla misura. Si è registrato un investimento importante per l’infrastrutturazione dei servizi sociali dei Comuni, mentre sono stati più carenti gli investimenti sui Centri per l’impiego.
Risulta evidente che, perché si possano raggiungere i risultati sperati in termini di contrasto alla povertà occorre dare continuità alla misura, mantenendo l’impianto strutturale e il suo possibile sviluppo nei tempi che saranno necessari. In questo momento dunque smontare il REI assesterebbe infatti un colpo fatale alla possibilità di dar vita ad incisive politiche contro la povertà nel nostro Paese.
Occorre invece distinguere le politiche per il contrasto alla povertà (che, come dimostrato, dai dati è un fenomeno multidimensionale e non legato esclusivamente alla mancanza di un impiego) dalle politiche per l’aumento dell’occupazione, e lavorare al monitoraggio della politica con metodo partecipato e non disperdendo il sapere concreto che si è generato sui territori in questi mesi, e per aumentare l’importo del trasferimento e riuscire a raggiungere la totalità dei 5 milioni di poveri assoluti, quell’ “esercito in attesa”, che non ha ancora trovato risposte del tutto adeguate.