I dati delle dichiarazioni di successione indicano che i patrimoni ereditati non solo aumentano di valore, ma diventano sempre più concentrati nelle mani di pochi. Scende, però, il peso della tassazione su questi trasferimenti. Non è una buona notizia. Questo articolo è stato pubblicato su Lavoce.info (20/10/2020)
Il peso dei lasciti
I trasferimenti di ricchezza sotto forma di eredità e donazioni in vita costituiscono, insieme ai risparmi attivi, ai tassi di rendimento e all’apprezzamento netto degli attivi patrimoniali, uno dei meccanismi principali di accumulazione del patrimonio personale. Si tratta, tuttavia, di un argomento poco approfondito nella letteratura economica, anche per via di una penuria di dati convincenti.
In un nuovo studio, scritto insieme a Paolo Acciari, abbiamo analizzato i dati amministrativi relativi a tutte le dichiarazioni di successione presentate ogni anno a nome dei deceduti nel nostro paese a partire dalla metà degli anni Novanta. Questi dati coprono fino a oltre il 60 per cento di tutti i decessi annuali e forniscono una fotografia del patrimonio finanziario e immobiliare (al netto dell’indebitamento) che entra in successione e viene dunque suddiviso tra gli eredi che subentrano nella proprietà. Il resto dei decessi non è rappresentato nei dati poiché non ci sono proprietà da trasferire oppure i lasciti non includono alcuna proprietà immobiliare e, contemporaneamente, il loro valore è relativamente basso (per esempio, meno di 26 mila euro fino al 2014 e 100 mila euro successivamente).
Il flusso annuale di tutti i trasferimenti di ricchezza è quasi raddoppiato in proporzione al reddito nazionale fra il 1995 e il 2016, passando dall’8,5 al 15 per cento. Discorso simile vale per il flusso in proporzione al reddito disponibile delle famiglie italiane, che sale dal 9,6 al 18,5 per cento.