Si può promuovere la crescita dell’economia digitale senza far arretrare i diritti e le tutele dei lavoratori? La storia della Carta di Bologna sui riders
La storia della Carta dei diritti fondamentali del lavoro digitale nel contesto urbano (altrimenti nota come “Carta di Bologna sui riders”) inizia nell’inverno del 2017. Alcuni riders di Bologna, riconosciuti sotto la sigla di Riders Union di Bologna, decisero in concomitanza con la prima nevicata, di appendere le loro biciclette all’Albero di Natale, addobbato come da tradizione in Piazza Maggiore. Un gesto eclatante che aveva destato l’attenzione dell’amministrazione comunale e dei media locali. Ricordarne l’inizio non serve solo a mettere un punto di partenza a questa storia; serve a dare atto, che se non ci fosse stato quello sciopero e quella manifestazione di protesta da parte di alcuni giovani lavoratori, non sarebbe potuto nascere il percorso amministrativo che di lì a poco avremmo iniziato. Dopo lo sciopero di Natale, si decise di discutere del tema in un’udienza conoscitiva per ascoltare i riders e le piattaforme digitali di delivery food presenti a Bologna. Conoscere le loro condizioni contrattuali. Le condizioni di lavoro. Il sistema di funzionamento degli algoritmi.
Dopo un’intesa attività negoziale con i riders e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative che richiedevano il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato agganciato ad un CCNL e le piattaforme digitali che utilizzavano forme di collaborazione continuativa tipiche del rapporto di lavoro autonomo, l’amministrazione comunale avanzò una proposta che si ispirava ad una direttiva europea sui contratti non standardizzati. Perché aspettare che qualcuno si facesse male prima di poter intervenire?
Parte da qui la proposta della Carta di Bologna che dopo successivi incontri con le parti firmatarie è stata siglata il 31 Maggio 2018 dal Comune di Bologna, Riders Union Bologna, CGIL CISL UIL, Sgnam e Mymenu. Il primo accordo metropolitano in Europa sulla Gig economy, con particolare riferimento al settore del food-delivery. Il principio fondamentale della Carta è quello di stabilire che, al di là della qualificazione del rapporto giuridico, non si possa andare sotto degli standard minimi di tutela come l’obbligo di assicurazione nei confronti dei lavoratori e dei terzi, il diritto ad un compenso equo e dignitoso non inferiore ai minimi del CCNL, indennità aggiuntive per il lavoro notturno o per le condizioni metereologiche sfavorevoli, la sospensione del servizio in caso di condizioni metereologiche straordinarie tali da mettere a repentaglio la sicurezza e la salute dei lavoratori, il diritto di riunioni sindacali retribuite, gli obblighi di informazione, la tutela della privacy, il diritto di disconnessione.
Il nostro impegno è sempre stato quello di promuovere una Carta dei diritti, non di proclamare diritti sulla carta. In un anno la Carta ha prodotto i suoi effetti. Sgnam e MyMenu nell’estate del 2018 si fondono insieme (successivamente sarà incorporata anche la milanese Forchette e Bacchette) e costituiscono la più grande piattaforma italiana di food-delivery: a Bologna coprono quasi la metà del mercato del food delivery, con più di 300 riders e drivers cui si applicano diverse tipologie contrattuali, a seconda della quantità di tempo che il prestatore mette a disposizione delle piattaforme, che non possono andare sotto lo standard minimo previsto dalla CCNL della logistica.
Nel mese di Luglio del 2018, ai sensi degli articoli 12 e 7 della Carta, è stata possibile in meno di 24 ore la riattivazione dell’account di un rider che era stato disattivato da Glovo, senza giustificato motivo. Nel Novembre 2018 si è svolta, dentro il Palazzo comunale, la prima riunione retribuita dei riders di Sgnam e MyMenu. Un altro momento simbolico è il 16 dicembre 2018. In applicazione dell’articolo 4 comma 2 della Carta decidiamo, di comune accordo con le piattaforme di Sgnam e Mymeny ed i riders, di sospendere il servizio di consegna a domicilio. Invitiamo i cittadini bolognesi a non ordinare cibo a domicilio, sotto la neve, perché non vale la pena far rischiare la vita a questi ragazzi. Prima la salute e la sicurezza. L’hamburger o la pizza possono attendere. La risposta dei bolognesi è straordinaria e non si fa attendere. Il servizio viene sospeso immediatamente per tutte le piattaforme digitali. I cittadini mettono sui loro profili social le foto dei piatti preparati in casa da loro. Ci dimostrano che la nostra comunità, in questa battaglia, è con noi.
Il 21 Marzo 2019 la Carta viene firmata da Dominos’ Pizza. Una firma importante perché estende l’applicazione della Carta ad altri 100 riders e drivers bolognesi di Dominos’ che vedono applicarsi gli standard del CCNL della ristorazione. A giugno 2019, SGNAM e MYMENU trovano l’accordo in conformità all’art. 4 della Carta per aumentare di 1€ la paga dei riders, raggiungendo il minimo salariale previsto dal CCNL della logistica. In questo anno di vita, la Carta di Bologna ha già raggiunto traguardi impensabili, ma il più importante è quello culturale: è riuscita a squarciare il velo di ignoranza sulle condizioni di lavoro dei riders e promuovere una riflessione sulla cultura del lavoro digitale in Italia. Non c’è nulla di innovativo nel ritorno al cottimo puro, attraverso gli algoritmi delle piattaforme di food-delivery. Questo non è il futuro. E’ il passato. Essere favorevoli alla crescita dell’economia digitale non significa abdicare alla tutela ed alla salvaguardia dei diritti dei lavoratori nelle nostra città. Le nostre strade sono diventate il luogo di lavoro dell’economia digitale. Squarciare il velo di ignoranza sulle condizioni di lavoro dei riders significa rendere visibile il pericolo di ingiustizia sociale che si annida nella Gig economy.
I lavoratori della Gig Economy sono molti di più dei riders; si stima che i riders costituiscano solo il 10% del totale dei lavoratori della Gig Economy che oggi attraverso le app si candidano a fare lavori a task come il baby sitting, il dog sittng, il montaggio dei mobili etc. Con la Carta di Bologna abbiamo tolto alle piattaforme di food-delivery l’alibi della non sostenibilità economica di un modello aziendale che riconosca il costo del lavoro in conformità ai CCNL e garantisca standard minimi di tutela, a prescindere dalla qualificazione giuridica del rapporto di lavoro. Se può essere sostenibile economicamente per alcune piattaforme, come può non esserlo per altre che hanno fatturati anche maggiori? Non è un problema di (in-)sostenibilità economica. E’ un tema di scelta del modello economico.
Il secondo alibi che rimaneva ancora da superare era quello delle tutele difformi da città a città. L’ultimo atto del Governo gialloverde era stato introdurre una norma all’interno del “decreto salva-imprese” che, di fatto, legittimava il sistema del cottimo previsto da alcune piattaforme di food-delivery. Il recente decreto legge emanato dal nuovo Governo giallorosso si muove su uno scenario completamente diverso: da un lato, modificando l’articolo 2 del D.L. 81/2015 per ricomprendere i riders nelle collaborazioni etero-organizzate a cui si applicano le tutele del lavoro subordinato; dall’altro, introducendo tutele minime che si ispirano alla Carta di Bologna ed alle altre esperienze delle legislazioni regionali. Non si tratta di prevedere un “doppio binario” ma di un costruire un sistema integrato: lavoro subordinato per chi lavora a tempo pieno e standard minimi di tutela per chi lavora in modo occasionale, per porre fine al cottimo puro e contrastare la “fuga dalla subordinazione” della gig-economy.
Troppo presto per dire che la partita sia chiusa. Ora bisogna aspettare che la norma venga rispettata dalle piattaforme digitale che operano nelle nostre città. Non si tratta di creare una normativa ad hoc sui riders o sui lavoratori della Gig economy. Si tratta di aprire una discussione pubblica, prima ancora che legislativa, su una battaglia sulla cultura del lavoro digitale nel nostro Paese: si può promuovere la crescita dell’economia digitale senza far arretrare i diritti e le tutele dei lavoratori? Da questa risposta passa un pezzo di futuro del nostro Paese.