Coinvolgere i dipendenti per non disperdere il patrimonio umano e aziendale delle aziende oggi in difficoltà attraverso i Workers Buyout, promuovendone la diffusione con un’informazione adeguata e un approfondito confronto culturale e politico. Il momento di usare questo strumento è ora
Una parte significativa delle PMI italiane ha affrontato la pandemia vivendo già in una condizione di fragilità (bassa produttività e bassi salari). E’ elevato il rischio che, terminati gli interventi di supporto straordinario, molte di queste imprese entrino in crisi e chiudano anche quando hanno potenzialità di rilancio. Serve attivare subito meccanismi che valorizzino le loro potenzialità. Assume allora rilievo lo strumento del workers buyout, che, intercettando tempestivamente le difficoltà dell’impresa, possa coinvolgere gli stessi dipendenti per evitare una dispersione del patrimonio umano e aziendale. I workers buyout sono uno strumento di politica del lavoro e industriale per le imprese in crisi o minate da un difficile ricambio generazionale, ma che hanno al loro interno, nella loro forza di lavoro, una parte significativa delle competenze e capacità per ripartire.
Worker buyout: istituzione e numeri
Questo strumento è stato istituito con la Legge “Marcora” che, dalla metà degli anni ottanta, promuove un’alternativa possibile per i lavoratori, riuniti in cooperativa, di prendere in prima persona la guida dell’impresa, investendo l’anticipo dell’indennità di disoccupazione, il TFR e altre risorse proprie per trasformarsi in soci imprenditori. Fra il 1986 e il 2001 risultano finalizzate 161 operazioni di WBO; poi, dopo uno stallo (2 sole fra 2002 e 2010), ne sono state realizzate 71 tra il 2010 e il 2020: in termini di occupati, circa 8000 nell’intero periodo, 1800 negli ultimi dieci anni. Lo strumento interessa principalmente le piccole imprese (tra 10 e 49 dipendenti) e il settore prevalente è quello manifatturiero.
«La fragilità delle nostre aziende in questa crisi è accresciuta dalla debolezza delle pmi italiane, non tanto perla natura famigliare, piuttosto per il mancato ricorso a manager esterni e per l’anzianità dei leader d’impresa, dal momento che un quarto delle aziende famigliari è capitanato da un ultra settantenne. Il mancato ricambio generazionale rischia di far entrare in procedura fallimentare il 20 per cento delle imprese famigliari nel prossimo decennio», ha spiegato all’Espresso (11 aprile 2021) Flavia Terribile, membro del ForumDD che ha condotto una ricerca fra oltre 220 lavoratori delle 70 imprese salvate dai dipendenti.
La proposta del ForumDD e gli sviluppi recenti
Convinti della forza dello strumento, già nel marzo 2019 come ForumDD proponevamo di promuovere il ricorso ai WBO nell’affrontare le crisi aziendali, all’inizio dei cosiddetti “tavoli di crisi”, per pianificare con i rappresentanti dei lavoratori e dell’azienda le azioni in grado di garantire continuità all’attività imprenditoriale; di premiare fiscalmente l’impegno dei lavoratori e delle lavoratrici nella rigenerazione dell’azienda e velocizzare i tempi di acquisizione/avvio dell’impresa; di rafforzare formazione e competenze manageriali.
Queste proposte hanno camminato, anche a esito di due anni di ricerca/azione condotta col supporto di CFI, Legacoop e CGIL, e sono state in parte implementate. A partire da quest’anno la presenza e il ruolo di CFI ai tavoli di crisi per le PMI aperti al MiSE e l’accordo sottoscritto tra le associazioni dell’Alleanza delle Cooperative Italiane e CGIL-CISL-UIL il 22/01/2021 vanno nella giusta direzione. La Legge di Bilancio per il 2020 ha ristabilito la non imponibilità ai fini IRPEF dell’indennità di disoccupazione (NASpI) richiesta dai lavoratori per costituire una cooperativa al fine di rilevare un’azienda in crisi (misura parzialmente attuata). Con la Legge di Bilancio 2021 anche il TFR richiesto dai lavoratori per la sottoscrizione del capitale sociale di una cooperativa non concorre alla formazione del reddito imponibile. Inoltre, la Legge di Bilancio 2021 (art. 1 commi 259-262 e 270-273) ha messo a disposizione ulteriori risorse per la promozione dei WBO e interventi diretti a favorire la successione e la trasmissione delle imprese.
Flavia Terribile ha spiegato all’Espresso che le imprese passate in mano a lavoratori e lavoratrici, hanno un tasso di sopravvivenza superiore alle aziende tradizionali, dimostrando quindi che il wbo è un valido strumento per trasformare i sussidi di disoccupazione in incentivo allo sviluppo. «Ma per fare questo occorre un’azione forte di governo, concertata dai ministeri dello Sviluppo Economico e del Lavoro, che dia rapida attuazione alle misure contenute nella legge finanziaria del 2020 e del 2021, che introduca misure tempestive per favorire la nascita e la crescita delle imprese dei workers buyout e lanci una forte campagna di comunicazione fin dalle prossime settimane per diffondere la conoscenza dello strumento».
Sempre dall’Espresso abbiamo appreso che “i due ministeri stanno creando un nucleo di analisi a cavallo fra Palazzo Piacentini (Mise) e Palazzo Balestra (Lavoro) che replichi il modello applicato ad alcuni casi di successo di workers buyout, wbo, ovvero situazioni in cui i dipendenti si uniscono in cooperativa e rilevano l’azienda per proseguire l’attività. Si sta valutando questa soluzione anche per la Whirlpool di Napoli, che la multinazionale americana ha deciso di chiudere oltre un anno fa, lasciando senza occupazione 420 persone”.
Tutoraggio e comunicazione
Intervistato sulle pagine dell’Espresso Gaetano Giunta, segretario della Fondazione Comunità di Messina e membro del ForumDD ha raccontato l’esperienza concreta del Birrificio di Messina, dove 15 ex dipendenti si sono associati in cooperativa salvando un’impresa storica della città. Oggi la Fondazione si sta occupando del rilancio di una ditta di ceramica e di un’impresa commerciale. Importante per la buona riuscita dei wbo, secondo Giunta, è un forte sostegno ai lavoratori nell’elaborazione di una strategia commerciale, sia nella pianificazione e controllo finanziario. E la comunicazione, per favorire la scelta dei prodotti delle imprese acquisite dai lavoratori da parte di chi acquista: “La nostra idea è creare un marchio commerciale unico e nazionale di aziende workers buyout per favorire l’acquisto dei loro prodotti da parte di consumatori italiani. Diventerebbe un simbolo di consumo solidale, utile a rilanciare quella parte di economia italiana fortemente depressa dalla crisi, ma ancora in grado di esprimere qualità”.
Che fare dunque?
Ora si tratta di utilizzare le misure contenute nelle leggi finanziarie a sostegno dei wbo. Di realizzare subito un’informazione adeguata, un approfondito confronto culturale e politico per promuoverne la diffusione. Di valutare caso per caso e in tempo se esistono le condizioni per prendere questa strada e per integrarla, ad esempio con un rafforzamento o un affiancamento della compagine manageriale, azioni che si rendono necessarie per colmare conoscenze e competenze che i lavoratori e le lavoratrici, coinvolti nell’area della produzione dell’impresa, non hanno maturato. I Workers Buyout sono l’immagine di una parte del Paese che vuole reagire e rinnovarsi, coniugando inclusione e sviluppo in un orizzonte di lungo termine. La situazione di crisi che viviamo domanda questo passo.
* Foto di Hello I’m Nik su Unsplash
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