Quale modello di business? Come interpretare la propria missione in un senso più marcatamente politico? Come attrarre giovani motivati e capaci? Ecco le tre questioni cruciali oggi per la cooperazione.
La cooperazione sociale è sempre stata un ambito privilegiato per cogliere i cambiamenti tra i confini delle istituzioni sociali (mercato, stato, associazioni e comunità), così come tra i principi di scambio che le attraversano (scambio di mercato, potere, status, reciprocità) e le costruzioni ideologiche che le caratterizzano (competizione, gerarchia, cooperazione, solidarietà). Proprio per il suo carattere “naturalmente” ibrido, la cooperazione sociale recepisce in anticipo e con particolare evidenza le tensioni materiali e culturali tra mondi profit e non profit, tra agire strumentale e motivazione intrinseca, tra produzione e riproduzione sociale, tra mercato e comunità politica. Questo è il potere della cooperazione sociale e, come tutti i poteri, non può essere attivato o disattivato a piacimento. Occorre saperlo utilizzare, mettere a valore, trasformare in azione collettiva.
Questa specificità emerge con chiarezza dal Workshop: “Equilibristi: la cooperazione tra democrazia e esigenze di impresa” organizzato da ForumDD – Unipolis – Cooperativa Dedalus a Napoli il 18 ottobre 2019. La posta in gioco è il rapporto tra cooperazione sociale e diseguaglianze, anzitutto, e le conseguenze necessarie per fare della cooperazione sociale un attore cruciale nella lotta alle diseguaglianze. Sul primo punto, la diagnosi è quella fornita dal ForumDD: la lotta alle diseguaglianze (economiche, sociali, di riconoscimento) deve (ri)diventare una priorità dell’azione politica, mettendo al centro le libertà sostanziali delle persone e redistribuendo il potere. Cosa può fare la cooperazione sociale a riguardo? E, soprattutto, come può farlo?
Tra le molte questioni discusse, ve ne sono tre che, in filigrana, mi sembrano particolarmente rilevanti e utili. Questioni che rimandano ad altrettante crisi da affrontare e nodi da sciogliere. La prima è il “modello di business”, cioè l’insieme delle logiche secondo le quali un’organizzazione crea, distribuisce e raccoglie il valore. Tema, questo, che richiama anche le forme organizzative delle cooperative sociali, il mix tra solidarietà e imprenditorialità, l’estensione del mutualismo interno, il rapporto con il territorio e la democrazia dei processi decisionali che le caratterizzano. Quale è la concezione del valore delle cooperative sociali? Come viene determinata e trasformata in vantaggio collettivo? Il “modello di business” della cooperazione sociale – cresciuto in un rapporto di dipendenza dalle risorse pubbliche – è in crisi e va ripensato. Con tutte le implicazioni culturali, organizzative ed economiche del caso.
La seconda questione è la “crisi di missione”. La spinta propulsiva delle legge 328 mostra ampi segni di stanchezza, non fosse altro perché i bisogni a cui rispondere sono oggi più complessi e sfaccettati, sia come intensità che come scala e conseguenze potenziali. Bisogni, questi, che richiedono un (ri)posizionamento politico della cooperazione che, accanto all’intervento sociale, ne nutra l’azione politica. Non ci si può limitare a curare i sintomi (per es. le ludopatie), senza prendere posizione e combattere contro le cause (le scelte politiche che le generano, come quelle sulla legislazione dei “videopoker”). Ciò rimanda a sfide complesse, multidimensionali, che intrecciano più livelli di scala e che non hanno soluzioni lineari e semplici. Sfide che coinvolgono interessi contrastanti e giochi a somma negativa dove – almeno nel breve periodo – si generano vincenti e perdenti. Sfide, quindi, non gestibili attraverso un approccio tecnocratico di ingegneria sociale, ma che richiedono la costruzione del consenso politico e la definizione condivisa di orizzonti temporali di lungo periodo e di immagini strategiche del futuro. Questo richiede un impegno quotidiano dove l’ombra del senso di fallimento e dell’impotenza rappresentano una minaccia costante.
La terza è la crisi di vocazione, potenzialmente mortale se non messa con urgenza a tema e adeguatamente contrastata. La cooperazione sociale deve tornare ad attrarre giovani motivati e capaci, che vedono nel suo ruolo un approdo vocazionale, che fornisce sia libertà materiale che motivazione intrinseca. In proposito, può essere utile un confronto con le parole chiave e i significati che guidano l’azione di chi oggi lavora nella galassia dell’innovazione sociale. Come abbiamo mostrato in una recente ricerca sugli “innovatori sociali” (F. Barbera e T. Parisi, Innovatori sociali, Bologna, Il Mulino, 2019) le parole chiave dell’innovazione sociale rimandano a termini come cooperazione, condivisione, coinvolgimento, sostenibilità, comunità, networking, impatto, bisogni, tecnologia e disintermediazione. Su alcuni di questi termini la cooperazione sociale ha detto moltissimo, su altri ha molto da dire ancora.
Le tre crisi possono e devono essere affrontate insieme, disegnando immagini credibili del futuro e rispondendo alle domande: chi o cosa saremo tra venti anni? Con quali risorse e modello economico possiamo contribuire a una maggiore giustizia sociale? Come dobbiamo rispondere alla crisi di vocazione e al rinnovamento delle classi dirigenti? Tutto ciò senza rinnegare la propria storia, ma riscoprendo le radici profonde e adeguandole a un mondo che è profondamente cambiato.