Il maggior significato umano e politico della proposta dell’eredità universale a tutti i diciottenni e le diciottenni, secondo Marco Rossi-Doria, è che apre la riflessione su “cosa farò da grande” e rappresenta una potente occasione di costruzione sociale generazionale. Di grande importanza è l’accompagnamento all’utilizzo dell’eredità: servono figure con una expertise solida, una modalità che coinvolga la scuola e il mondo fuori l’istituzione scolastica, i coetanei, artisti, viaggiatori, persone con vissuti complessi e non lineari, e che tenga conto di ciò che serve a chi nasce in un contesto di esclusione sociale
L’accompagnamento alla dote suscita un’ulteriore riflessione, che riguarda tutti i diciottenni. La proposta di dote universale ha, in sé, il grandissimo vantaggio di saper o poter potenziare enormemente il senso simbolico e operativo del “pensare a sé da grande”. Questo è, a mio parere, il maggior significato politico e umano della proposta n. 15. E, dunque, allargando lo sguardo sul tema del passaggio all’età adulta, la riflessione su “cosa farò da grande” rappresenta una potente occasione di costruzione sociale generazionale. La dimensione sociale ha un peso straordinario a 18 anni. E il suo epicentro, il suo prevalente contesto di “tutoring” non è rappresentato, in primo luogo, dalle persone adulte o da un’agenzia educativa, scuola o altro. Infatti si gioca prevalentemente entro il gruppo dei pari coetanei, tra compagni/e di scuola o di quartiere, entro la cerchia stretta e/o allargata dell’amicizia e delle “affinità elettive” di quel momento della vita.
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L’accompagnamento è anche informazione sulle opzioni e possibilità. Ma non può essere, asetticamente, solo questo. Nel tutoring, infatti, non funziona una fredda informazione senza che vi sia l’empatia delle relazioni e questa comporta rischi, che vanno governati, sorvegliati. Cioè, non è che tu eviti le proiezioni aprendo una sorta di ufficio in cui dici ai ragazzi cosa fare con il viso impassibile. Ovviamente, sto estremizzando. Ma serve una capacità di stare in relazione con quel ragazzo guidando una ricerca ma senza determinarne l’esito e dunque evitando di mettersi “al posto di…”
Detto ciò in generale, davanti alla prospettiva di una dote universale, rispetto ai contesti di povertà e povertà educativa – va posta una domanda decisiva. Finita la scuola o abbandonata la scuola come si diventa grandi, come ci si emancipa, come si guadagna il proprio vivere, come si acquisiscono maggiori libertà di scelta se si parte con molto meno nella vita per deficit di “dote di opportunità precoce” causata dalla situazione di disuguaglianza subita, di minorità vissuta in mille modi fin dalla nascita? E’ una domanda decisiva in quanto la cittadinanza è largamente fondata sull’acquisire abbastanza presto, nel tempo della propria vita, maggiori possibilità di scelta: oggi oltre alle scienze sociali e al sapere globale sull’educare anche le neuroscienze confermano questa che è un’acquisizione universale, codificata anche da ONU, UE, ecc.
Nell’esperienza empirica non solo mia, la questione di accompagnare i diciottenni nelle aree di esclusione si mostra contemporaneamente con due facce.
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