Articolo pubblicato il 7 marzo su EticaEconomia.
Keti Lelo, Salvatore Monni e Federico Tomassi confrontano le tre più popolose città metropolitane italiane (Roma, Milano e Napoli) analizzando le suddivisioni sub-comunali dei capoluoghi e gli altri comuni dell’hinterland. Lo studio fa emergere, seppure con diverse intensità, la presenza di disuguaglianze in termini di istruzione, occupazione e reddito in tutte e tre le aree metropolitane, evidenze che sollecitano la necessità di politiche specifiche e territorialmente diversificate in ognuna di esse.
Dopo aver mostrato nello scorso numero del Menabò le principali evidenze sul comune di Roma emerse nel progetto #mapparoma, in questo articolo intendiamo comparare le tre più popolose città metropolitane italiane: Roma, Milano e Napoli. A questo fine, facciamo uso delle suddivisioni sub-comunali dei capoluoghi e degli altri comuni dell’hinterland: per Roma 155 zone urbanistiche e 120 comuni, per Milano 88 nuclei di identità locale e 133 comuni, per Napoli 30 quartieri e 91 comuni. Come nell’articolo precedente i dati, di fonte censuaria, sono resi disponibili in formato aperto (open data) e liberamente riutilizzabili.
Roma, Milano e Napoli, pur paragonabili in termini di popolazione residente, non lo sono in termini di superficie, forma urbana e performance economica. Rappresentano infatti bene lo storico divario tra il Nord e il Sud del Paese (Tabella 1).
Le tre aree metropolitane hanno diverse dimensioni territoriali: Milano e Napoli raggiungono insieme 274mila ettari, la metà dell’estensione di Roma (536mila ettari), un dato ancora più evidente a livello comunale, dove la somma dei capoluoghi Milano e Napoli rappresenta solo il 23% del territorio di Roma Capitale. Roma è caratterizzata dall’eccezionale dimensione del comune capoluogo, il cui limite amministrativo include ampie porzioni di campagna, mentre le aree urbane di Milano e Napoli superano i limiti delle rispettive città metropolitane, andando a saldarsi con le province confinanti.
In questa sede ci concentriamo su tre dimensioni essenziali dello sviluppo economico: reddito medio per abitante, istruzione e occupazione, rimandando per un’analisi più dettagliata, comprendente anche altre dimensioni, al nostro lavoro Disuguaglianze metropolitane: un confronto con Milano e Napoli pubblicato nel volume curato da Ernesto d’Albergo e Daniela De Leo Politiche urbane per Roma: le sfide di una capitale debole, Sapienza Università Editrice, 2018.
Per quanto riguarda il reddito medio annuo per contribuente (Figura 1) è interessante osservare, da un lato, come quasi l’intero territorio della città metropolitana di Milano si collochi nella fascia di reddito superiore a 20.000 euro e, dall’altro, che Milano (30.600 euro) non è il comune più ricco essendo scavalcato da cinque comuni dell’hinterland i cui redditi medi superano i 31.000 euro (Basiglio, Cusago, Segrate, San Donato e Arese). Nella città metropolitana di Roma gli unici due comuni che superano, di poco, 25.000 euro di reddito medio sono Formello e Grottaferrata, situati nella prima cintura, mentre Roma rimane poco al di sotto (24.700 euro, un valore probabilmente “appiattito” per effetto della variabilità interna all’esteso territorio comunale) e la maggior parte dei comuni dell’hinterland si colloca nella fascia tra 15 e 22.000 euro. Ben diversa si presenta la situazione della città metropolitana di Napoli dove, ad esclusione di Capri, San Sebastiano al Vesuvio, Procida e Sorrento, il resto dei comuni non supera i 20.000 euro di reddito medio; Napoli è leggermente al di sotto (19.900 euro), e numerosi comuni hanno un reddito medio per contribuente inferiore ai 15.000 euro.
La distribuzione della popolazione residente con più di 20 anni per titolo di studio è fra le caratteristiche socio-demografiche che maggiormente condizionano la composizione socio-economica delle diverse aree urbane. Se a Roma e Milano la quota di laureati più elevata si osserva nei quartieri più centrali e in pochi altri comuni dell’hinterland, a Napoli il disagio socio-economico di parte del centro storico fa sì che i titoli di studio più elevati siano concentrati soprattutto nelle zone benestanti semicentrali (Figura 2).
A Roma, come già descritto nello scorso numero del Menabò, la distanza dal centro è anche una distanza sociale. Infatti, i laureati ai Parioli (49,2%) sono ben otto volte quelli della periferia di Tor Cervara (6%): la loro percentuale supera il 42% nei quartieri benestanti a nord, mentre scende sotto al 10% soprattutto nelle periferie esterne o prossime al GRA a est, e anche nell’hinterland i laureati non superano mai il 25%.
Anche a Milano le differenze tra centro e periferia sono nette, poiché i laureati a Pagano e Magenta-San Vittore (entrambi 51,2%) sono sette volte quelli di Quarto Oggiaro (7,6%). La quota di residenti laureati supera il 42% in tutto il centro all’interno della cerchia dei Bastioni e nei quartieri limitrofi, mentre è inferiore al 12% in numerose periferie in tutti i quadranti. Nell’hinterland i valori sono più bassi, come nel caso romano, poiché – con una sola eccezione – i laureati non superano mai il 27%.
A Napoli le differenze sono ancora più marcate rispetto a Roma e Milano, in quanto i laureati a Posillipo, Chiaia e Vomero (circa 40%, dato comunque inferiore rispetto ai valori massimi delle altre due città) sono nove volte quelli di Scampia, San Giovanni a Teduccio e Miano (4,5%). Anche nell’hinterland i laureati sono pochi, al massimo il 15-17% della popolazione residente – è il caso di Nola e di alcuni comuni a est e nella penisola Sorrentina – una quota comunque inferiore a quella rilevata nelle città metropolitane di Roma e Milano. In un grande numero di comuni del napoletano – tra cui, considerando solo quelli più popolosi, molti a nord (il più popoloso è Afragola) e a sud-est – la quota di laureati è inferiore al 7%.
Per quanto riguarda il tasso di occupazione rispetto alla popolazione con più di 15 anni (figura 3), a Roma supera il 55% solo nei nuovi insediamenti periferici con coppie giovani a sud-ovest (tra cui Malafede e Vallerano Castel di Leva) e ad est (tra cui Ponte di Nona e Casal Monastero), mentre è di poco superiore al 40% nei quartieri popolari della periferia storica a nord (Tufello) ed est (Torrespaccata, Casilino, Don Bosco, Gordiani), oltre che a Ostia Nord sul litorale. Nell’hinterland il tasso di occupazione risulta più basso: è intorno al 50-52% solo in alcuni comuni a nord nella valle del Tevere e a Monterotondo, e a sud-est (soprattutto Pomezia), oltre che a Fiumicino sul litorale, mentre è di poco superiore al 40% (guardando solo ai comuni più popolosi) nel litorale sud (Nettuno e Anzio) e a sud-est nei Castelli Romani.
A Milano il tasso di occupazione è mediamente più alto che a Roma, poiché, a parte tre nuclei poco popolosi, è compreso tra il 55 e il 60% nel centro storico e in vari quartieri limitrofi al centro stesso o più periferici a nord ed est. Il tasso rimane comunque inferiore al 45% in alcune periferie in tutti i quadranti (tra cui Gallaratese, Quarto Oggiaro e Niguarda Cà Granda). Anche nell’hinterland sono numerosi i comuni di media grandezza il cui tasso di occupazione è compreso tra il 55 e il 60%, quindi al di sopra dei valori romani, mentre è inferiore al 50% in tutta la popolosa cintura nord tra Milano e Monza (in particolare Sesto San Giovanni, Cinisello Balsamo e Cologno Monzese).
A Napoli i tassi di occupazione sono più bassi di quelli dell’area romana e le differenze tra quartieri molto più marcate, con il tasso di occupazione del 43% a Posillipo che è il doppio rispetto al bassissimo 22% di Scampia. Il tasso raggiunge valori intorno al 40-43%, tipici delle zone popolari di Roma, solo nei quartieri occidentali del ceto medio-alto (Posillipo, San Giuseppe, Chiaia, Vomero e Arenella), ed è inferiore al 30% nelle popolose periferie nord (tra cui Scampia e Secondigliano), est (in particolare Ponticelli e Barra) e ovest (Soccavo), oltre a Mercato e Pendino in centro. Anche nell’hinterland il tasso di occupazione supera il 40% esclusivamente nelle isole e nella penisola Sorrentina.
In conclusione, dal nostro lavoro emergono evidenti forme di esclusione sociale e di polarizzazione tra le periferie scarsamente dotate di opportunità e i quartieri centrali e benestanti, in una sorta di crescita a due velocità. Questo fenomeno è più evidente a Napoli e Roma, ma è presente anche a Milano, capitale dell’opulento Nord. Le città metropolitane escono dalla crisi più profonda che il nostro Paese abbia mai conosciuto con una classe di esclusi presenti peraltro non solo nelle periferie e nelle classi sociali meno abbienti, ma anche in quella che era la classe media. Le parti deboli della società non sono riuscite a cogliere i benefici apportati dalla crescita del settore terziario avanzato che si è verificata nell’ultimo decennio, sia pure con intensità diversa, a Milano, Napoli e Roma. Insufficiente attenzione è stata data alle aree periferiche, la povertà non è stata ridotta, e ampie fasce di popolazione soffrono l’esclusione sociale, essendo anche fisicamente lontane dalle zone più dinamiche delle città, dove sono maggiormente frequenti le interrelazioni sociali e l’offerta culturale. I ceti medi subiscono l’aumento del costo della vita e dei prezzi degli immobili che, nonostante il calo degli ultimi anni, rimangono spesso proibitivi.