Quando scoppia un’emergenza le persone più fragili e vulnerabili, che dipendono da servizi sociali o hanno redditi bassi e precari sono le più esposte. Le disuguaglianze delle nostre società vengono rese ancora più evidenti. Servono misure strutturali per combatterle
Le situazioni di crisi non hanno lo stesso impatto per tutti: se non vengono gestite nell’ottica di garantire diritti certi per ogni persona non fanno altro che aumentare ed amplificare lo spettro delle disuguaglianze. Questo vale per il nostro paese esattamente come per decine di altre situazioni che ActionAid affronta in tutti i continenti.
ActionAid, utilizzando proprio un approccio sempre fondato sul rispetto dei diritti delle persone, affronta situazioni di deprivazione strutturale o temporanea in contesti in cui, l’accesso ai diritti per gruppi economicamente fragili, socialmente e politicamente marginalizzati e discriminati per genere, cultura, provenienza geografica, orientamento sessuale o religioso, è fortemente limitato anche a monte delle crisi.
Che si tratti di lottare per il diritto al cibo in Zimbabwe, per l’accesso ad acqua potabile in Etiopia o per far fronte ad un sisma in Nepal, ActionAid si impegna da sempre perché i diritti umani di tutte e tutti siano garantiti e tutelati dalle istituzioni.
In linea con l’evolversi del dibattito e delle varie linee guida internazionali per la gestione delle emergenze quali quelle emanate dall’Inter- Agency Standing Commitee (IASC), e grazie all’esperienza maturata sul campo, ActionAid ha imparato che in situazioni di crisi la risposta umanitaria deve fare i conti con gli ostacoli diversi che gruppi diversi di persone si trovano ad affrontare. La crisi dunque rappresenta una opportunità di riequilibrio di potere, ma se non gestita in questa maniera, in genere non fa che accentuare pesantemente le diseguaglianze preesistenti. I diritti di bambine, bambini, donne, uomini, anziane, e anziani, persone che vivono con disabilità o malattie croniche, gruppi di lavoratrici e lavoratori differenti, comunità che vivono in aree marginalizzate o a rischio ambientale, sono messe a prova con intensità e modalità diverse a fronte di uno stesso evento.
Il successo nelle battaglie contro le disuguaglianze che portiamo avanti quotidianamente, passa anche dalla possibilità che, a fronte di uno stesso accadimento traumatico, i diritti di tutte e tutti siano garantiti con pari attenzione al risultato finale. In Italia lo abbiamo toccato con mano lavorando con le comunità colpite da eventi sismici fin dal 2009 e per questo nel 2019 abbiamo lanciato la campagna #sicuriperdavvero, la cui richiesta di fondo è quella di avere una governance stabile e un apparato normativo unico che garantisca pari diritti a comunità colpite dalle catastrofi naturali. Le bambine e i bambini dell’Aquila e quelli che abitano le zone colpite dal sisma in Emilia Romagna hanno lo stesso diritto di veder ricostruite scuole sicure; le persone colpite dai sismi del 2016/2017 in Centro Italia hanno il diritto a processi di ricostruzione trasparenti ed efficaci così come tutte le popolazioni colpite hanno diritto a sostegni economici o agevolazioni fiscali equi e basate sulle reali necessità per non aggravare le disuguaglianze preesistenti.
Nei giorni del Covid19 è utile preoccuparsi non solo tanto perché va affrontata un’emergenza sanitaria – lasciamo infatti alle autorità competenti la classificazione degli eventi e la loro pericolosità di breve termine– ma perché ci pare di riconoscere il rischio che la narrazione prevalente eviti i problemi profondi che produrrà questa situazione sui giovani, i precari, i migranti ed altri gruppi già in difficoltà. La narrazione mediatica per ora dà una lettura semplicistica di quanto sta accadendo, senza porre attenzione alle disuguaglianze e alle diversità.
Invece di analizzare e raccontare con obiettività i rischi reali cui gli anziani e i malati cronici ed in genere i soggetti più fragili (non solo per condizioni da salute, ma anche per assenza di supporto familiare e/o sociale) sono esposti, si presenta un pericolo generico e monolitico come se epidemiologicamente, economicamente e socialmente parlando, avessimo tutte e tutti lo stesso grado di vulnerabilità. E così, da un lato vengono emanate ordinanze che prevedono la chiusura delle università, musei, teatri, locali notturni, o che regolano il numero massimo di visitatori che i parlamentari possono ricevere giornalmente (3), mentre dall’altro le lavoratrici e i lavoratori dei trasporti pubblici, delle fabbriche, o dei supermercati continuano a fare il proprio lavoro a regime normale in situazioni che possono anche produrre burn out, come per gli operatori sanitari o coloro che sono semplicemente costretti in casa per settimane. Chi ha la fortuna di lavorare per aziende che si sono attrezzate per lo smart working, per esempio, può far fronte alla chiusura delle scuole e alla gestione dei propri figli, mentre chi fa un lavoro che implica la presenza fisica che garantisca la continuità di produzione o servizi di base, viene tutelato in misura minore e deve fare i conti con carichi di cura familiari aumentati improvvisamente.
Anche il sistema della solidarietà viene messo a dura prova: i volontari e le volontarie che gestiscono le mense e l’accoglienza per le persone senza fissa dimora così come alcune case rifugio o centri antiviolenza, vengono lasciati a se stessi e al senso di responsabilità dei singoli, quando non sono obbligati a ridurre al minimo i servizi che possono erogare. E’ successo per esempio al centro antiviolenza Rel.Azioni Positive di Padova che, a seguito ai provvedimenti delle Istituzioni competenti, ha dovuto sospendere le attività, mantenendo solo il numero per le emergenze. Nei casi peggiori servizi come Pane Quotidiano che distribuiva 3.000 pasti al giorno a Milano si trovano costretti a chiudere. E naturalmente per tutti gli attori civici che nei fatti suppliscono grandemente al welfare pubblico, il reperimento di risorse è divenuto difficoltoso, con ricadute di medio periodo anche sui rispettivi “beneficiari” (di nuovo, sempre i più marginalizzati).
Parco Solari è abitato solo da persone che vivono di lavori pagati in nero o precari in queste giornate milanesi un pò psicotiche: alcune collaboratrici domestiche, chi vende per strada, riders che si trovano senza lavoro in questi giorni, perché le persone hanno paura a far entrare nelle proprie case altre persone. Salendo in metro o facendo la spesa, circondati da persone in guanti e mascherina, ci si chiede come si sentano le persone che fanno il proprio lavoro “in abiti civili”. Che la precauzione sia necessaria o meno, poco importa, la percezione di una diseguaglianza di riconoscimento è protagonista in questi giorni: la percezione di alcuni gruppi di persone è quella di essere lasciate nude ed esposte ad un rischio, mentre altre vengono tutelate dal sistema.
Al di là della crisi, più o meno grave, che l’Italia sta vivendo in questi giorni, quello che ci preoccupa e che chiediamo sia messo al centro del dibattito pubblico è la necessità che il nostro paese si doti di misure strutturali per l’abbattimento delle disuguaglianze: queste si amplificano nei momenti di crisi, si tratti del sisma in centro Italia, dell’acqua alta a Venezia, o di una forte influenza e per essere #sicuriperdavvero servono misure strutturali come quelle proposte dal Forum Disuguaglianze e Diversità.