Il cambiamento del senso comune avvenuto nell’ultimo trentennio fa sì che oggi le espressioni “uguaglianza” o “contrasto delle disuguaglianze” o “riduzione della povertà” evochino in molti l’idea che si vogliano appiattire le diversità, che si vogliano mortificare il merito e l’impegno e che per farlo lo Stato sia invasivo e ci imponga tasse e gabelle. Questa reazione istintiva è certo influenzata dalla comunicazione e dalla propaganda che da tempo, spesso amplificando la portata di micro-storie, rappresenta ultimi, penultimi e vulnerabili come “scansafatiche” che hanno scelto di non impegnarsi sapendo di potere essere salvati dal sistema del welfare. Ma è anche il frutto di errori compiuti ed effetti non desiderati e non corretti in tempo delle politiche redistributive prevalenti fino alla fine degli anni ’70. Ed è spesso anche il risultato di esperienze personali, lette ovviamente con gli occhiali del senso comune prevalente, magari non approfondite, che hanno sedimentato questi sentimenti. Comunque stiano le cose, per costruire un consenso attorno a proposte di riduzione delle disuguaglianze, ma anche per costruire queste proposte, è necessario rivolgersi a questi sentimenti, comprenderne e affrontarne e ove possibile decostruirne le fondamenta, e al tempo stesso illustrare, nei principi e nella pratica, che l’uguaglianza che si vuole accrescere è “più libertà”, non meno; è ciò che si intende per libertà sostanziale. Proposte che tocchino la formazione primaria delle disuguaglianze piuttosto che correggere le disuguaglianze dopo che si sono formate hanno maggiore possibilità di convincere le persone riluttanti che questo è il fine che si persegue: non basta re-distribuire, è necessario pre-distribuire.
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