Partendo da alcuni studi in campo economico, Stefano Caria sfata una serie di veri e propri “miti” sui possibili effetti dell’eredità universale e incondizionata, spiegando le ragioni che giustificano proprio queste due caratteristiche, e sottolinea la necessità di una prima fase sperimentale che consenta di stimare l’impatto della misura e di calibrarne al meglio i suoi vari aspetti.
La proposta di eredità universale avanzata dal Forum Disuguaglianze Diversità prevede un trasferimento di 15,000 euro, senza vincoli, per ogni giovane che raggiunge la maggiore età. L’obbiettivo è quello di aumentare la capacità delle nuove generazioni di investire nel proprio futuro, in maniera libera e indipendente dal reddito familiare. È una proposta che ha fatto e che farà discutere. In questo articolo, esplorerò i principali punti di dibattito alla luce delle più recenti ricerche in campo economico. Questi studi ci aiutano a sfatare una serie di veri e propri “miti” sui possibili effetti di questo intervento e a capire le ragioni che giustificano la proposta di offrire l’eredità a tutti e senza vincoli. D’altra parte, ricerche fatte in altri contesti, su programmi con caratteristiche diverse non possono sostituire una valutazione d’impatto specifica, che quantifichi i ritorni economici e sociali e aiuti a capire il ruolo giocato dai vari elementi della proposta. Alla fine dell’articolo, sottolineerò quindi la necessità di una prima fase sperimentale che consenta di stimare l’impatto dell’eredità universale e di calibrarne al meglio i suoi vari aspetti.
Due miti da sfatare
Cosa sappiamo sugli effetti che un programma di questo tipo potrebbe avere sui giovani che riceveranno l’eredità?
Il primo punto che emerge con forza dagli studi accademici è che una maggiore disponibilità economica può stimolare i giovani a investire nella propria istruzione o a intraprendere un’attività imprenditoriale. Contrariamente a quanto si possa pensare, infatti, chi riceve un trasferimento monetario non tende necessariamente a lavorare o studiare di meno. Anzi, spesso una disponibilità iniziale di capitale può creare le condizioni giuste per una maggiore partecipazione al mercato del lavoro o un maggiore investimento nel capitale umano, innestando un circolo virtuoso che aumenta i ritorni dell’intervento pubblico fatto a monte.
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Il secondo punto da enfatizzare è che gli effetti positivi di una politica di questo tipo non si limitano ai ritorni privati dei beneficiari diretti, ma possono coinvolgere tutta la comunità. Ci sono almeno tre canali attraverso cui questo può succedere. Il primo, e a mio avviso il più importante, nasce dal fatto che il talento di un giovane è una delle risorse più importanti della sua comunità. Se questo talento non viene usato al meglio, per esempio perché la mancanza di risorse economiche non gli permette di acquisire l’istruzione necessaria per conseguire i propri obbiettivi, o per mettere in pratica un’idea imprenditoriale, a perderci è tutta la comunità. Un giovane talentuoso che viene messo in condizioni di realizzare il suo potenziale può aprire un’azienda innovativa, che magari in futuro creerà impiego e ricchezza per tutto il territorio, o diventare un professionista preparato che aiutarà altre aziende a crescere e svilupparsi. Un giovane talentuoso che non riesce a sfruttare il suo talento costituisce invece un’opportunità persa per tutta la comunità. L’entità di questo effetto, che gli economisti chiamano di “allocazione efficiente del talento”, può essere davvero sorprendente. Nell studio forse più famoso sul tema, gli economisti Hsieh, Hurst, Jones e Klenow stimano che, tra il 1960 e il 2010, l’aumento nell’efficienza allocativa del talento è stato responsabile di una fetta della crescita del prodotto interno lordo Americano stimata tra il 20 al 40 percento.
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