E’ urgente una profonda riforma culturale che capovolga la subalternità delle aree interne, considerandole invece un tassello chiave della cura del territorio, del contrasto alle disuguaglianze esistenti e a quelle nuove generate dai cambiamenti climatici.
Il quadro è chiaro: le disuguaglianze territoriali risultano irrisolvibili soprattutto perché si scontrano con il “mancato riconoscimento da parte delle élites urbane […] delle specificità di questi territori”. Ed io aggiungerei della loro utilità per tutto il sistema paese.
Ci scontriamo qui con un vero e proprio deficit di conoscenza della classe dirigente. “L’egemonia culturale metropolitana con la quale le amministrazioni centrali regolano” le aree interne ha origine da una grave ignoranza delle leggi ecologiche che governano il nostro pianeta. E’ un’ignoranza, persistente in alcune culture tecnico-professionali e politiche, che impedisce di riconoscere l’interdipendenza tra città e aree interne: “i problemi ambientali che hanno origine a monte, hanno conseguenze disastrose per chi sta a valle”, come giustamente ci ricorda Carrosio, quando parla dell’intervento sul Bisagno a Genova, un intervento predisposto “senza porsi il problema di tutto il territorio che sta a monte di Genova. Un territorio fragile, spopolato, dove i boschi sono abbandonati e dove origina il dissesto idrogeologico che provoca danni in città”.
Una ignoranza scientifica, che è certamente il portato di rapporti di forza, di interessi economico-sociali, di una storia dello sviluppo di questo paese, ma che segnala anche la profondità della rivoluzione culturale che dovremmo avviare. Tanto più che segnali in questa direzione sono venuti anche da mondi estranei alla cultura ecologica. Già 11 anni fa, con il Quaderno bianco sulla scuola, prodotto dal Ministero dell’Istruzione e dell’Economia, si rilevava come le differenze territoriali pesassero sui risultati scolastici degli alunni italiani tanto quanto le differenze sociali (in Italia “il 57 per cento della varianza totale delle competenze è fra studenti di scuole diverse, anziché all’interno della stessa scuola, contro 34 per cento nella media OCSE”).
Ma quello di cui oggi bisogna essere consapevoli è che queste differenze territoriali producono guasti ambientali che moltiplicano le disuguaglianze sociali. I danni provocati dal maltempo nel solo triennio 2013-2016, secondo i dati dell’unità di missione Italiasicura, ammontano a circa 7,6 miliardi di euro senza contare la perdita di vite umane e le sofferenze delle persone colpite, impossibili da monetizzare. Costi che sono pagati dalla popolazione più fragile, sia perché più esposta al rischio sia perché sono costi che pesano come un macigno sulla spesa pubblica.
L’ignoranza non è mai innocente, e oggi ignorare i servizi ecosistemici che le aree interne, i territori pedemontani e montani, svolgono per il benessere e la sicurezza del paese è uno dei tasselli delle politiche che accentuano le disuguaglianze. E questo vale per il dissesto, ma anche per il ruolo di boschi e foreste, per la mitigazione dei cambiamenti climatici, per la prevenzione degli incendi, per il rifornimento idrico, per la ricchezza della biodiversità, per la tenuta dei paesaggi …. Gran parte dei problemi ambientali delle pianure nascono in montagna. Lo spopolamento delle terre alte e delle aree interne è oggi sempre di più un problema della pianura. Ecco perché le aree interne non sono, e non devono essere, solo il bel rifugio dallo stress urbano, il luogo bucolico del riposo. Il loro futuro non è solo nella vocazione turistica. Esiste una società da rivitalizzare intorno a produzioni agro alimentari, artigianato che rinnova i saperi tradizionali, produzioni manifatturiere, nuovi servizi, qualità culturale.
Non solo, oggi il rischio che lo spopolamento delle aree interne rappresenta per il sistema paese fa apparire sotto un’altra luce anche la questione dei migranti: un’occasione storica per innestare nuove energie giovani, nuove competenze e punti di vista che sanno creare anche nuovo lavoro (come già alcune esperienze sparse in Italia, da Ostana (CN) alla provincia di Benevento, dimostrano), per innescare un circuito virtuoso di recupero, messa in sicurezza e riqualificazione energetica di un enorme patrimonio edilizio in via di abbandono.
Il riconoscimento dei servizi ecosistemi ed il recupero del patrimonio edilizio per le nuove famiglie avrebbero bisogno di politiche fiscali innovative, che partano dal riconoscimento dell’utilità strategica che il paese ricaverebbe dalla rivitalizzazione delle aree interne.
Serve un diverso punto di vista, che sarebbe iconoclasticamente fotografato da un’idea un po’ pazza di riforma elettorale: servirebbe un sistema di rappresentanza, che superi l’impianto ottocentesco del “una testa un voto” per inserire coefficienti di correzione della rappresentanza in funzione dei km quadri dei territori che votano, in modo da riequilibrare il peso delle periferie territoriali, rispetto alle aree densamente urbanizzate!!!
Ma questa è solo una provocazione!