Un contributo di Salvatore Veca
Leggendo il rapporto della bella giornata di studio “Le disuguaglianze tra i mondi e nei mondi” del 4 giugno scorso, mi è venuto in mente un primo commento che è un elogio rinnovato dell’articolo 3 della nostra Carta Costituzionale. L’articolo, com’è noto, contiene due commi. Ed è sul secondo comma che spesso verte la nostra attenzione, se prendiamo sul serio la tensione o la contraddizione fra il “pieno sviluppo della persona umana” e gli ostacoli e i limiti, che la Repubblica deve rimuovere, generati dalle crescenti disuguaglianze dai molti volti. Ma suggerisco di considerare l’articolo 3 nella sua interezza. Il primo comma ci dice: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. E il secondo comma aggiunge: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Sono convinto che le crescenti disuguaglianze mettano sotto pressione non solo il secondo comma, ma anche, e gravemente, il primo. Mi chiedo: che ne è della pari dignità sociale delle persone come cittadine e cittadini nei differenti contesti istituzionali e spazi sociali, economici e culturali in cui essa è violata e insultata dagli effetti delle disuguaglianze di reddito, ricchezza, status, conoscenza, capacità? E’ qui che affondano le loro radici le pratiche quotidiane dell’umiliazione, della degradazione, dello sfruttamento, dell’uso di essseri umani come arnesi. Le pratiche della riconversione dei cittadini e delle cittadine in suddite, quando non in schiave. E come possiamo ragionare seriamente sui compiti repubblicani di rimozione e contrasto degli ostacoli di ordine economico e sociale se la prima condizione non è soddisfatta o è irrisa?
Al commento segue una congettura: se assumiamo l’articolo 3 come stella polare del contrasto e della riduzione delle disuguaglianze “tra i mondi e nei mondi”, la connessione stretta della teoria e delle pratiche per la libertà come sviluppo umano con gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’agenda 2030 dell’ONU acquista un rilievo di assoluta importanza. L’uguale importanza di vite umane qua e là per il pianeta, per dirla con Amartya K. Sen, la loro uguale dignità sociale, ci induce a sostenere che il nostro disegno di avanzamento sociale chiama in causa una nuova idea di progresso. Sappiamo che l’idea di progresso e di perfectibilité risale al recente Illuminismo europeo. Conosciamo la sua trasformazione da una prospettiva incentrata sul senso della possibilità in una prospettiva incentrata sul senso della necessità e dell’inevitabilità. Si consideri che l’idea illuministica di progresso era basata sulla connessione fra le sue diverse dimensioni, come mostra il grande Esquisse di Condorcet: la dimensione scientifica e teconologica, la dimensione economica, la dimensione civile, morale e politica. Noi abbiamo dimenticato il carattere multidimensionale del progresso. L’idea stessa ha subito la sorte del discredito e del biasimo, a mano a mano che le connessioni fra le diverse dimensioni venivano meno e si affermava egemone una prospettiva unidimensionale, incentrata sulla crescita economica senza limiti e sulle frotte accelerate di scoperta scientifica e innovazione tecnologica.
Gli obiettivi di sviluppo sostenibile, messi a fuoco nella dimensione spaziale globale e nell’orizzonte temporale delle generazioni future, sono oggi la migliore inferenza che possiamo trarre – nella teoria, nella pratica e nell’azione collettiva in giro per il mondo – dalla nostra stella polare dell’articolo 3. Perché vale per i 17 obiettivi e per i 169 target dell’Agenda 2030 il principio olistico della loro interazione e connessione, come ha sostenuto nel suo saggio L’era dello sviluppo sostenibile Jeffrey Sachs e come ci ha spiegato con chiarezza ed efficacia Enrico Giovannini nel suo L’utopia sostenibile.
La congettura suggerisce che la prospettiva entro cui si muovono e si mobilitano le persone, le associazioni, le comunità epistemiche della ricerca, per prospettare e incidere sulle politiche sia, in un senso chiaro, netto e preciso, una prospettiva incentrata sui fini di un avanzamento sociale, che coincide con la nuova idea di progresso e sviluppo umano.