L’intervento di Marco De Ponte, Segretario Generale di ActionAid e membro del Gruppo di Coordinamento del ForumDD alla presentazione del Rapporto dei Diritti Globali
Cercherò di fare qualche riflessione che non è strettamente collegata né a quello che facciamo specificamente noi di Actionaid, né al testo del Rapporto, ma piuttosto all’esortazione contenuta nel suo titolo di quest’anno “Cambiare il sistema”. E’ infatti utile dibattere di quello, per evitare di limitare la discussione ai pochi presenti oggi.
Credo che la questione di fondo che questo rapporto ci pone, e che questo lavoro ci pone, è come si possa sostenere che ci troviamo ancora in un sistema di democrazia sostanziale, cioè che il popolo davvero decide (perché questa dovrebbe essere la democrazia). A fronte di tutti i dati che Sergio (Sergio Segio, curatore del Rapporto, ndr) ha snocciolato quest’anno come ha fatto in anni passati, emerge questa questione di fondo: qual è la qualità reale della “democrazia” in un paese come l’Italia o in tanti paesi soprattutto del mondo occidentale, ma non solo?
La nostra esperienza è che lo spazio politico si restringe sempre di più – come dicono gli inglesi ci si deve confrontare con uno shrinking political space: l’agibilità politica degli attori civici appare sempre minore.
Un soggetto con una presenza internazionale come Actionaid negli ultimi 16-18 mesi ha dovuto far fronte all’ipotesi di espulsione in Pakistan ed in Uganda. In quest’ultimo paese alla fine non è successo, ma abbiamo avuto grosse difficoltà a difendere gli spazi nostri ed altrui. Sappiamo che in 40 paesi tra quelli in cui operiamo ed altri, sono state articolate e sono entrate in vigore norme restrittive nei confronti della società civile organizzata. Quaranta, non due. Paesi lontani come la Cina o l’Arabia Saudita, ma anche paesi alle porte di casa come la Bielorussia. Ed in casa, il picco più incredibile di un clima di insofferenza verso la società civile organizzata è stato sicuramente toccato con il “decreto sicurezza bis”, non solo per quello che vi è scritto in termini di limitazioni in contrasto con la normative internazionale ed ipotesi di penalità da comminare, ma proprio per l’approccio, la prospettiva politica che quel decreto sottende. Ricordo peraltro che è ancora in vigore. Questo governo ne ha promesso l’abrograzione, o almeno una parte del Governo ha pensato all’abrogazione ed un’altra ad una modifica almeno per rispondere ai rilievi del Capo dello Stato, ma il testo è ancora lì tutto intero.
Di che democrazia stiamo parlando se la società civile organizzata è mal sopportata, e se – come diceva Sergio prima – poi il nostro Esecutivo, pur certo espressione di un popolo sovrano che va regolarmente alle elezioni, attua politiche in contrasto con il diritto ed il consenso internazionale in campo umanitario, per esempio tollerando che quaranta mila persone siano rispedite nei lager (stima delle persone riportate in Libia dalla guardia costiera locale, ndr).
Di cosa stiamo parlando? Di democrazia formale o di un simulacro di democrazia (potere della gente) reale?
Quando Sergio ogni anno percorre tutte le “disgrazie del mondo”, io mi trovo spesso a riflettere su come un attore civico come Actionaid – insieme ad altri che svolgono ruoli un po’ diversi – si trovi impegnato in tante battaglie che sono tuttavia elementi di un’unica sfida.
Lavoriamo sull’aiuto pubblico allo sviluppo “gonfiato” e distolto dalle finalità prescritte, lavoriamo sulla questione delle rimesse dei migranti, lavoriamo sull’accoglienza (non solo in Italia), lavoriamo sull’integrazione in Italia chiedendo accesso agli atti delle prefetture o assistendo gli enti locali in merito all’iscrizione all’anagrafe, lavoriamo per la giustizia sociale nel Forum Disuguaglianze e Diversità, sulla questione della povertà con l’Alleanza contro la Povertà cercando di verificare l’efficacia delle politiche di welfare, lavoriamo sulla sicurezza del territorio, sulla violenza contro le donne. Ma in fin dei conti sono tutte cose che hanno a che fare con la qualità della nostra democrazia.
E dunque si … il “sistema” non si può forse banalmente correggere, ma va radicalmente cambiato e superato se si desidera parlare in coscienza realmente di “potere del popolo” (dei più, di tutti). Credo dunque per questo che abbia fatto bene chi ha redatto questo rapporto a usare l’esortazione “cambiare il Sistema” per l’edizione 2020.
Proprio questa mattina è uscito l’Edelman Trust Barometer e pare che il 56% degli italiani ritenga che il capitalismo così com’è adesso articolato non funzioni. Quindi forse non è neanche più vero che non si possa mettere in discussione il sistema capitalistico. Pare che esista un vasto scontento rispetto al funzionamento del sistema. Il problema è che questo vasto scontento viene cavalcato in una maniera che finisce spesso poi per opprimere ancora di più coloro che ne sono le vittime. Ma forse insieme – come società civile organizzata – su questo dato si può e dunque si deve lavorare!
Sempre questa indagine demoscopica oggi mostrava come – dopo due anni di calo impressionante con una serie di conseguenze anche economiche ed impatto sulla loro capacità operative – sia tornata a crescere di 5 punti percentuali la fiducia nelle ONG. Non succedeva da un bel po’. Basta farle funzionare serenamente queste terribili ONG, non brutalizzarle con continui attacchi qualunquisti o addirittura viziosi… e noi attori civici – non solo le ONG – svolgendo semplicemente il nostro lavoro riscuotiamo sempre fiducia.
Il 2019 è stato l’anno in cui tutto il mondo ha visto Greta cambiare l’agenda di tutti i ragazzi; in Italia abbiamo visto una mobilitazione di piazza che ancora forse fatica a prendere in mano dei temi specifici, promuovere delle proposte articolate, come nel caso delle Sardine. Ma tutto si tiene e cresce passo dopo passo: non vorrei dimenticare infatti il 2 marzo, la manifestazione People a Milano che ha fatto scattare qualcosa nel 2019 che probabilmente era sopito fino a quel punto. Duecentocinquantamila persone per le strade di Milano che si sono unite per dire no a un clima di intolleranza e che li sono arrivate portate da soggetti civici, non partiti e nemmeno sindacati.
Ecco, io penso che su queste esperienze magari non connesse tra loro in maniera consequenziale ma tutte espressione di una agitazione positive… si possa costruire: con coraggio e con linguaggi e proposte oggi necessariamente radicali. Per questo sono molto d’accordo con l’esortazione di questo rapporto. Nessuno pretende di fare rivoluzioni per distruggere chissà quale antagonista; però un riformismo che non si appoggi sul coraggio di parole e proposte radicalmente “diverse”… ci porta sempre più in giù verso un declino morale e una oppressione di fatto del popolo, non verso il suo empowerment! Senza radicalismo nelle alternative, quella sfilza di orrori che Sergio ha ripercorso oggi è solo destinate ad allungarsi.
Ci vuole un coraggio nuovo, capace di valorizzare i molti che compongono i popoli, invece che pochi individui con grandi opportunità legate alle ricchezze delle loro famiglie o dei loro paesi. Non so come andrà a finire oggi il pasticcio dei caucuses in Iowa, ma penso lo slogan di Sanders, Not me. Us sia particolarmente azzeccato per catturare le riflessioni che sto facendo. Noi soggetti civici dobbiamo lavorare in quella direzione – la direzione dei “noi”.
Penso che in quella proposta – pur in un contest diverso – si esprima anche la piena consapevolezza che servono – per dare corpo al “noi” – reti civiche e sociali solide ben oltre un leader, perché la partecipazione sia l’antidoto al bullismo dei forti. Ed è necessario che poi questa partecipazione non possa essere solo prescritta, ma debba prender forma sul territorio in mille modi e con costanza di pratiche. Potrei ricordarne alcune con cui noi di Actionaid abbiamo lavorato assieme ad altri attori civici in Italia, ma anche magari con i sindaci per fare in modo che le risorse dello Stato che ci sono vengano effettivamente erogate in maniera efficace su tanti fronti, per esempio fondi anti-violenza. Oppure diamo forma alla partecipazione assistendo gli enti locali perché venga riconosciuto nella pratica il diritto all’iscrizione anagrafica dei migranti, cosa che a una lettura superficiale del primo decreto sicurezza sembrava impossibile, ma che invece poi la magistratura ha ribadito che si può ben fare anche nei limiti di una legge ingiusta.
Penso che nel 2020 ci possiamo concentrare come forze civiche organizzate su alcune cose, anche fuori dalla nostra zona di conforto. Per esempio questa idea che non si possa fare, con ci siano le condizioni per una nuova normativa sulla cittadinanza va superata rapidamente: ci vuole il coraggio di prendere in mano questa battaglia in Italia e non mollarla più fino che non è vinta.
Con il Forum Disuguaglianze – lo dico di proposito in casa del sindacato (la presentazione del Rapporto si è tenuta nella sede nazionale della CGIL, ndr) – abbiamo fatto delle proposte che forse anche la CGIL deve valutare con più energia, buttando il cuore oltre l’ostacolo, come quella dei Consigli del lavoro e della cittadinanza su cui stiamo discutendo, o come la questione del salario minimo da associare ad altre parti di un pacchetto necessariamente complesso.
Ne potrei snocciolare davvero tante di battaglie necessarie, ma mi preme in generale sottolineare che la società civile organizzata, non solo manifestando, magari contrapponendosi a qualcuno con la denuncia, ma anche nella propria capacità di produrre proposte alternative, deve uscire da un percorso (as)segnato a ciascuno da solo e provare – insieme – a “cambiare il sistema” davvero.