La contingenza politica delle elezioni europee, del resto, non restituisce uno scenario piano. Le immagini dei trattori che assediano le istituzioni europee rappresentano un ostacolo per l’azione climatica sono state il prologo, l’antefatto del risultato elettorale. Cosa potrà fare il nuovo Parlamento Europeo spostato a destra? Ne scrive Filippo Barbera, Sociologo e docente all’Università di Torino, per una riflessione sulla scia dell’intervista di Fabrizio Barca a Charles Sabel e Rossella Muroni pubblicata su L’Espresso il 3 novembre scorso.
Negli incontri è tornato e ritornato un messaggio: «Tanto più tardiamo, tanto più alto è il rischio sociale». Quale il messaggio ai partiti?
Chuck Sabel: «Create e moltiplicate spazi di confronto; sfruttate la capacità italiana di ritrovarsi attorno a tavoli locali di collaborazione per costruire a livello nazionale rotte visibili che diano certezze a una trasformazione che oggi sgomenta».
Rossella Muroni: «Tornate a essere luoghi aperti di partecipazione e ricerca di soluzioni, con la reale ambizione di dare rappresentanza alle aspirazioni delle persone e di ricercare l’intersezione fra interessi e valori diversi, anziché solo di chiedere voti».
Dall’intervista di Fabrizio Barca a Charles Sabel e Rossella Muroni pubblicata su L’Espresso il 3 novembre.
Le parole sono importanti, anche se spesso ci incutono timore perché evocano problemi scomodi, a volte destabilizzanti, se non inquietanti. Problemi che resistono alle possibili soluzioni, vuoi perché chiamano in causa difficili dilemmi di cooperazione tra attori con interessi divergenti, vuoi perché non ci è chiara la loro natura e/o ci sfuggono i meccanismi causali che li governano. Problemi di questo tipo – per essere risolti – richiedono di imparare dai fallimenti e di mettere in filiera obiettivi ambiziosi, valore pubblico, agenti del cambiamento, conoscenze disperse e parziali, sperimentazione, apprendimento, fallimenti, cooperazione, innovazione, regole formali, tecnologia, mercati, luoghi e persone. Potremmo dire: in assenza di soggetti politici, servono nuovi oggetti e piattaforme mobilitanti che funzionino alla stregua di “assemblaggi politici” per risorse-agenti-problemi-soluzioni. La politica climatica, fino a oggi, non ha seguito questa strada e non dobbiamo avere timore di dire che è fallita. Stiamo procedendo a passi di lumaca, alla meglio con stop and go, e si fa sempre più largo l’idea che ambientale sia nemico di sociale. Nonostante questo siamo in piena transizione e proprio per questo le resistenze sono evidenti. Il tema quindi non è iniziare la transizione, ma come accelerarla nella direzione giusta.
In “Governare il clima. Strategie per un mondo incerto” (Donzelli, 2024) Charles Sabel e David Victor hanno in proposito una tesi netta: per affrancarsi dai fallimenti della politica climatica è necessario accompagnare i grandi accordi-quadro, come quelli di Parigi e Kyoto, con processi decisionali concreti di collaborazione fra imprese, stato, corpi intermedi e cittadini, allo scopo di facilitare la ricerca e l’investimento su nuove tecnologie di frontiera. Perché ciò non rimanga una petizione di principio, serve rendere più costose la rendita e la conservazione dell’esistente. Il messaggio è che se è vero che “il mercato” non ci salverà, allo stesso tempo l’invocato e necessario ruolo degli Stati e delle istituzioni pubbliche richiede la cooperazione volontaria degli innovatori, così come il coinvolgimento di chi la transizione non la vuole (e di chi la teme). A sostegno di questa tesi, accanto ai fallimenti, esistono importanti successi che, dall’attuazione del Protocollo di Montreal del 1987 per contrastare l’assottigliamento della fascia di ozono, alla riduzione delle emissioni di carbonio in California, al controllo delle emissioni di solfuri negli USA, alla riduzione di inquinamento agricolo in Irlanda, disegnano la spazio del poter essere. Non esistono quindi mondi necessari, ma solo mondi possibili non ancora esplorati.
La contingenza politica delle elezioni europee, del resto, non restituisce uno scenario piano. Le immagini dei trattori che assediano le istituzioni europee rappresentano un ostacolo per l’azione climatica sono state il prologo, l’antefatto del risultato elettorale. Cosa potrà fare il nuovo Parlamento Europeo spostato a destra? Qui la proposta che deriva dal lavoro di Sabel e Victor. Serve una “mossa del cavallo” con l’unione tra la politica di coesione e la lotta al cambiamento climatico. Unione che si può realizzare a partire dai luoghi, tessendo reti tra territori forti e deboli, tra settori e filiere translocali, tra vita quotidiana delle persone e interessi economici, tra politica e amministrazione. In modo granulare e sperimentalista, ritagliando di volta in volta la scala appropriata del problema da affrontare, sia a livello di territorio che di settore. Una politica climatica con queste caratteristiche sarebbe così – come sostiene Charles Sabel nel saggio “Il parafulmine e il sismografo” (in F. Barbera e P. Luongo (a cura di), L’economia, la politica, i luoghi. Saggi per Fabrizio Barca, Roma, Donzelli, 2024) – uno spazio o banco di prova che collega istituzioni ad attori nazionali e locali, tanto pubblici quanto privati, nell’articolazione e nella realizzazione di azioni pubbliche che – di fronte alla presenza pervasiva di problemi che resistono alle possibili soluzioni – crea le condizioni per lo scambio di idee tra attori diversi. Uno scambio che, oltre a essere necessario per concordare i mezzi e i fini dell’azione, crea impegni generali e condivisi sulla necessità e direzione del cambiamento possibile.
Come detto, una politica concreta del poter essere che sostituisce l’astratto moralismo del dover essere e che spesso mette le élite in contrasto con l’economia morale delle persone-nei-luoghi. Questi impegni per il poter essere non sono solo di tipo “tecnico” ma hanno implicazioni politiche immediate, per esempio chiedono di scegliere con chi allearsi, anche se non sono espressi come veri e propri o dichiarazioni a tutto tondo di fedeltà politica e consonanza ideologica a tutto tondo. Si aprirebbe così uno spazio di governance sperimentalista dove la politica potrebbe tessere alleanze con gli innovatori locali, con le imprese, le istituzioni, le organizzazioni di rappresentanza degli interessi, le fondazioni, le associazioni di cittadinanza, i saperi e i poteri radicati nei luoghi in modo in modo specifico e granulare.
I nuovi europarlamentari e le politiche europee dovrebbero quindi impegnarsi per connettere questi processi e accordi locali con le istituzioni sovra-locali, in un disegno multilivello tipico, appunto, della politica di coesione: dai Comuni, alle Regioni, ai Governi centrali, fino al livello europeo. Qui l’Europa può avere una importante occasione di rilegittimazione, ritrovare quel profilo che appare sepolto da sfiducia e lontananza dai bisogni delle persone (E. Granaglia e G. Riva, a cura di, Quale Europa, Donzelli, 2024).
Come fare però i conti con lo scenario europeo? Questa strategia avrebbe il vantaggio di non essere indifferente alla contingenza politica, che ci consegna un Parlamento europeo spostato più a destra. Perché è proprio nelle piccole e medie città, nelle conurbazioni lontane dai centri, nelle aree interne e nei “luoghi che non contano” che le formazioni più di destra hanno parti importanti del loro elettorato. Ambiente e coesione, se pensati insieme, rappresentano quindi uno spazio del possibile, sia per rigenerare un rapporto tra partiti, stato e società, sia per creare alleanze intenzionalmente miopi in uno spazio politico che trascende posizionamenti astratti e filtrati da partiti inadeguati. È successo in Texas, dove si è formata un’improbabile coalizione per l’energia pulita. Ai progressisti urbani di città come Austin si sono uniti i conservatori delle zone rurali del Texas occidentale, che riconoscono che le energie rinnovabili stanno diventando una dimensione critica per lo sviluppo economico per le loro comunità (https://www.ft.com/content/ef2f6f8e-60df-4ccd-8c4f-ef5cd0eb3176). Può accadere anche in Europa.
Foto di Tania Malréchauffé su Unsplash