Quale il ruolo delle comunità e del territorio nella transizione energetica? Gli incontri con Charles Sabel hanno evidenziato quanto sia fondamentale fare rete tra imprese per scardinare i meccanismi che impediscono l’innovazione, e poi che altro conta? Ne parliamo con Sara Capuzzo presidente di Ènostra, cooperativa energetica, nel ciclo di riflessioni che il ForumDD ha elaborato per approfondire i temi e le questioni legate alla transizione energetica giusta e alle strade per realizzarla sollevati dall’intervista di Fabrizio Barca a Charles Sabel e Rossella Muroni pubblicata su L’Espresso il 3 novembre scorso
Eppure, il fermento innovativo che avete incontrato negli incontri in Italia è significativo. Riguarda imprese, cittadinanza organizzata, movimenti, sindacato. Sono esperimenti diffusi di quel confronto pubblico-privato-sociale sull’attuazione concreta della trasformazione che Fixing the Climate propone, la condizione perché essa produca un’organizzazione più giusta di vita e lavoro. Ma non trovano udienza presso il sistema politico e istituzionale. Di fronte a questa sordità che può fare quel fermento?
Chcuk Sabel: «Le imprese verdi innovative con risorse finanziarie e tecniche sufficienti a reggere nelle forti turbolenze di ogni trasformazione devono “solo” trovare il coraggio di tenere botta: prima o poi ce la faranno. Per le altre, con esperienze più piccole e vulnerabili, la carta è un riconoscimento a livello di sistema che consenta di generalizzarle e di piegare a loro misura regole e politiche».
Rossella Muroni: «Quelle esperienze, per pesare, devono fare rete fra loro. Ciò chiede una trasformazione dell’associazionismo di imprese e lavoro che non si posizioni sull’interesse più ricorrente (e dunque conservatore) fra i rappresentati, ma sugli interessi più innovativi, perseguendoli a misura dei contesti».
Chuck Sabel: «E se non succede, che quelle punte avanzate si facciano avanti e si alleino fra loro!».
Dall’intervista di Fabrizio Barca a Charles Sabel e Rossella Muroni pubblicata su L’Espresso il 3 novembre.
Rossella Muroni: Ci racconti l’esperienza di ènostra e perchè si chiama proprio così?
Sara Capuzzo: Abbiamo chiamato la cooperativa ènostra per restituire l’idea di un bene comune del quale il socio si appropria, interpretando un ruolo attivo come consumatore e produttore nella transizione energetica. E non solo questo; i soci, infatti, partecipano alla definizione delle caratteristiche dell’impresa stessa: ascoltare la loro voce circa l’evoluzione della cooperativa è fondamentale per la valutazione del lavoro fatto fin qui e per quello futuro. Un esempio significativo è, ad esempio, la realizzazione di impianti fotovoltaici a terra. Fin dalla sua costituzione, la policy della cooperativa ammetteva la possibilità di realizzarli, ad esclusione di quelli su terreno agricolo. Ciononostante, l’esigenza di identificare criteri condivisi di sostenibilità ha finora dissuaso ènostra dalla loro realizzazione. Per superare l’ampasse la cooperativa ha sentito il bisogno di avviare un percorso di consultazione e raccolta di pareri informati per sondare la sensibilità di socie e soci riguardo al tema. In coerenza con il modello cooperativo per ènostra è fondamentale che la base sociale non sia chiamata a partecipare soltanto cofinanziando gli impianti collettivi o accedendo ai servizi erogati, ma che condivida i principi guida alla base della loro realizzazione. Questo processo è fondamentale, e la crescita nel numero dei soci che sceglie di entrare in ènostra è la dimostrazione che è possibile rispettare le promesse e i patti di trasparenza e dialogo.
ènostra è una cooperativa energetica nata come cooperativa di utenza all’interno di un progetto Europeo volto a favorire l’accettabilità delle rinnovabili, ovvero combattere la sindrome Nimby [con la quale si fa riferimento ad un fenomeno di resistenza e di protesta contro opere di interesse pubblico che hanno, o si teme possano avere, effetti negativi sul territorio in cui vengono costruite, NdR] che blocca l’installazione degli impianti energetici puliti sul territorio. Tra i soci fondatori, Avanzi, Retenergie ed EnergoClub, nessuno era veramente esperto, il mestiere che facciamo, allora come oggi, lo abbiamo appreso sul campo, visto che in Italia non esiste una vera tradizione di cooperative energetiche, al di là di quelle storiche dell’arco alpino. Nonostante l’impegno in sostenibilità e acquisto etico, ci siamo accorti che essere solo una cooperativa di utenza non era sufficiente ad operare il cambiamento; quindi, grazie anche al confronto con altre cooperative europee, abbiamo scelto di fonderci con Retenergie, cooperativa socia fondatrice, nata nel 2008 per realizzare impianti collettivi. Unirci a loro ha concretizzato l’obiettivo di coprire l’intera filiera: realizzare impianti e poi distribuire energia ai soci, che a questo punto si possono sganciare completamente dal mercato delle fonti fossili, favorendo anche un grande senso di appartenenza alla comunità. Oggi, forti dell’esperienza possiamo declinare il modello nazionale a livello territoriale, supportando le comunità energetiche locali.
Giorgia Amato: Qual è il ruolo delle comunità e del territorio nella transizione energetica?
Sara Capuzzo: Il ruolo delle comunità nella transizione energetica è centrale ed è parte integrante della rivoluzione, che non è solo italiana ma direi é internazionale. La co-partecipazione di soggetti che tradizionalmente non operano insieme, come ad esempio comuni, cittadini e imprese interessate a divenire parte di una comunità energetica, impone la necessità di trovare obiettivi e processi comuni. Questo esercizio implica delle ricadute positive che sono certamente energetiche e ambientali, ma ancor più sociali.
Tra gli elementi di criticità nella costituzione delle comunità energetiche c’è però il fatto che sono diventate “di interesse” per soggetti economici che nulla hanno a che fare con lo spirito originario di una comunità. Grossi player infatti evitano di enfatizzare concetti come “comunità” o “condivisione”, il vero cuore del nuovo modello, difficili da comunicare in un mondo innegabilmente individualista, , ma piuttosto propongono una rilettura più semplice e accessibile volta a stravolgendo completamente il concetto di comunità. Trasformando il modello delle comunità energetiche in altro, stanno trasformando il processo e la narrazione collettiva. Sul lato opposto, sono affascinanti le dinamiche che avvengono nei piccoli territori, dove invece effettivamente la creazione della comunità energetica è trasformativa perché può tramutare dei consumatori passivi in cittadini attivi e partecipativi. Un bell’esempio è il caso di Villanovaforru e Ussaramanna in Sardegna, comunità che hanno ristabilito un rapporto di fiducia basato sulla partecipazione. Questo processo appare cruciale in quanto la trasformazione del cittadino in attivista non è immediata, tuttavia avere voce sul tema dell’energia che è tradizionalmente invece un ambito su cui si è passivi, fa sì che si sia spinti a partecipare maggiormente a tutti gli aspetti della vita civile come anche di quella politica. È un processo culturale e di acquisizione di consapevolezza che abilita maggiormente sia i singoli che la collettività di cui fanno parte.
Rossella Muroni: Come possono quelle realtà che non sono abbastanza forti ma sono altamente innovative pesare nel discorso politico? Qual é la forza delle reti sul territorio e tra territori?
Sara Capuzzo: Quello che fa veramente la differenza è l’attitudine: se sei un innovatore hai la responsabilità di essere un agente di cambiamento. Non si tratta di fare solo il lavoro, di ragionare come un’impresa, ma diviene quasi un dovere verso gli altri. Sperimentare e innovare significa fare da apripista e tracciare nuovi solchi. Significa risparmiare a chi seguirà di intraprendere strade accidentate o vicoli ciechi e imboccare il cammino che porterà più rapidamente al traguardo. Significa risparmiare tempo e risorse e potenziare l’efficacia e gli impatti nelle tre dimensioni della sostenibilità. Non solo, l’audacia consente di incontrare prima gli ostacoli da rimuovere. In più di qualche caso ci è capitato di cogliere quest’occasione per fare azioni di lobbying – a livello regionale, nazionale ed internazionale – contribuendo ad aggiustare aspetti burocratici o normativi a vantaggio di tutti, anche appuntodi quelli che arriveranno dopo. Ad oggi, ad esempio, non esiste in Italia un movimento che rappresenti le cooperative energetiche, che ne colga le esigenze, ne valorizzi le potenzialità e che, a valle di una profonda conoscenza delle caratteristiche, sia in grado di tutelarne gli interessi. È anche per questo probabilmente che ci sentiamo certamente un’impresa ma anche un movimento che esercita un’azione politica e collettiva. Per me è importante che ciascuno e ciascuna nella squadra speciale di ènostra acquisisca la consapevolezza di quanto il proprio lavoro quotidiano sia dirompente e rilevante. Singolarmente e come comunità siamo tutti protagonisti in un mercato complesso e in rapida evoluzione come quello della transizione energetica giusta. Questa consapevolezza ci inorgoglisce. Ci rendiamo conto quotidianamente che questo è al contempo un privilegio e, come si diceva, una responsabilità. Un’opportunità che dobbiamo cogliere per imprimere, laddove sia condivisa l’attenzione alla generatività e alla massimizzazione delle ricadute sociali, il nostro approccio e abilitare il più rapidamente possibile i territori, le comunità e le reti che si vanno via via consolidando e far sì che il movimento rivoluzionario dei “cittadini energetici” si faccia sempre più coeso, rilevante ed efficace.