Oltre ad aver dimenticato alcuni temi – come consumo di suolo, biodiversità, impatto degli allevamenti intesivi – il Piano non coglie l’occasione per rendere la transizione ecologica possibile e “desiderabile”, come profetizzava già anni fa Alex Langer. Articolo pubblicato su Economiacircolare.com il 12 febbraio 2021
La convocazione da parte del premier incaricato Mario Draghi delle associazioni ambientaliste tra le parti sociali consultate per la formazione del nuovo Governo è un segno evidente delle novità e delle sfide con cui l’Europa ed il nostro Paese, in tutte le sue stratificazioni e rappresentanze, si devono misurare. Ed è una sfida anche per il movimento ambientalista. La proposta del Ministero della transizione ecologica, ne è la conferma. Una novità inimmaginabile se non ci fosse in campo il Next Generation EU. Da qui conviene partire per capire gli ostacoli che si frappongono, oggi, alla transizione ecologica.
Le regole dell’Europa e le contraddizioni del Piano nazionale
La Commissione europea ha dato indicazioni precise per l’utilizzo delle risorse, tenendo anche conto delle altre risorse che, sotto altri programmi, verranno messe a disposizione degli Stati membri.
Sono definiti gli scenari prioritari di riferimento, gli indirizzi e gli assi lungo cui muoversi, ed il metodo per costruirli. Transizione ecologica, innovazione digitale e coesione sociale, gli scenari; le sei missioni (digitale, rivoluzione verde, mobilità sostenibile, istruzione, inclusione e coesione sociale e territoriale, salute) gli assi portanti; trasparenza e partecipazione dei cittadini, il metodo.
Tutto ciò, a parole, nella presentazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza(PNRR), bene o male c’è. Ma, come si sa, la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni, e, in questo caso, le buone intenzioni si fermano alle premesse. Quando si entra nel merito delle “proposte di intervento”, che articolano le sei missioni e definiscono le 48 aree in cui si sviluppano i progetti, esplodono le contraddizioni e le inadempienze del Piano Nazionale.
E proprio seguendo il filo di Arianna del green si rendono evidenti i limiti complessivi del Piano. La transizione ecologica diventa la chiave per comprendere le contraddizioni e i limiti, ma anche le potenzialità, di tutto il programma NextGenerationEu. E questo è già un risultato.
L’Europa non lascia spazio agli equivoci, perché, oltre a definire il campo di gioco e i livelli quantitativi minimi a cui le misure principali (transizione ecologica e innovazione digitale) devono rispondere, stabilisce tre vincoli ineludibili.
Connessioni trasversali
Per l’Unione Europea non ci sono dubbi: lo scenario prioritario di riferimento è disegnato dalle innovazioni che la crisi climatica e lo sviluppo del digitale impongono al sistema sociale e al sistema economico. Prioritarie perciò sono le connessioni trasversali tra le politiche di contrasto ai cambiamenti climatici, le politiche industriali e territoriali necessarie a produrre nuovo lavoro, gli investimenti nelle infrastrutture sociali e culturali che sosterranno le persone e le comunità nei cambiamenti necessari.
Ma se le connessioni sono la conditio sine qua non prioritaria, alla Commissione è molto chiaro che queste si potranno concretizzare solo se inserite in un contesto di profonda innovazione del funzionamento della mano pubblica. Questo il secondo vincolo: servono riforme, ad esempio per scardinare abitudini consolidate e superare lentezze e inefficienze nella Pubblica amministrazione, di cui ha già parlato in queste stesse pagine Fabrizio Barca, o per rifondare la fiscalità ambientale perché non solo liberi le risorse dei sussidi ambientalmente dannosi, voce misteriosamente scomparsa nella versione del Piano approvata dal Governo uscente il 12 gennaio. Ma soprattutto riforme che costruiscano un sistema socialmente equo e ambientalmente innovativo, per stimolare e sostenere “il nuovo che avanza”. E serve innovazione nel metodo, almeno su due piani, che sono, poi, due facce della stessa medaglia: garantire la partecipazionedella società civile, sia nell’elaborazione del Piano sia nel monitoraggio dei progetti in fase realizzativa, per non passare sopra la testa dei territori; e definire i risultati attesi (e quindi anche i tempi) per far capire bene cosa si vuole ottenere in termini di miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle persone.
Green come?
Infine il terzo vincolo: la transizione ecologica per ottenere cosa? O, in altre parole, cosa si deve intendere per “green”? Di nuovo, la Guida che la Commissione ha inviato agli stati membri è molto chiara.
Il Piano deve “promuovere una ripresa sostenibile e inclusiva e la transizione verde, compresa la biodiversità. Gli Stati membri dovrebbero spiegare in che modo i piani sono coerenti con le priorità del Green Deal europeo, in particolare il modo in cui il piano sviluppa le azioni nel pieno rispetto delle priorità climatiche e ambientali dell’Unione, garantendo nel contempo una giusta transizione, e come ogni riforma e ogni investimento rispettino il principio di «non provocare alcun danno significativo»”. La pertinenza degli interventi ambientali è regolata da precisi criteri e coefficienti di efficacia determinati dalla regolamentazione europea. “Inoltre – prosegue la Guida – si dovrebbe prestare la dovuta attenzione alla possibilità di creare posti di lavoro, allo sviluppo e alla diffusione della ricerca e dell’innovazione, nonché all’offerta di formazione e all’acquisizione delle competenze necessarie per raggiungere tali obiettivi e accelerare l’implementazione delle tecnologie necessarie per la transizione verde. Infine, gli Stati membri dovrebbero spiegare come, nella loro concezione complessiva del piano, si debba prestare la dovuta attenzione all’obiettivo di garantire una transizione giusta che non lasci indietro nessuno”.