Intervista ad Anna Colombo*, funzionaria al Parlamento europeo dal 1987 al 2021, dove ha ricoperto vari incarichi, anche di alto livello, come consigliere politico
Sui giornali leggiamo tutti i giorni di Europa, ma per le persone resta difficile “entrare” nelle istituzioni. Lei ha lavorato al Parlamento europeo per 35 anni, fino al 2021, e conosce molto bene questo mondo. Può raccontarci che aria si respira con la nuova legislatura?
Premesso che sono assente dai “corridoi” del Parlamento dal 2021, direi che non si respira più l’aria del mandato iniziato nel 2019, che raccoglieva tutto l’entusiasmo scaturito nel 2015 dalla sottoscrizione all’Onu dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Un entusiasmo che veniva non solo dalla firma degli Stati membri dell’Unione europea e dell’UE stessa, ma dal fatto che l’Unione europea, grazie alla spinta delle famiglie politiche più europeiste e progressiste, ne aveva fatto la sua ragion d’essere. L’Europa, sposando l’Agenda 2030, puntava a una trasformazione non solo ecologica ma anche sociale, economica e istituzionale. Questo clima oggi non si respira più, perlomeno non con la stessa intensità. E anche se le elezioni europee del 2024 non hanno sovvertito in modo significativo le maggioranze che sorreggono il Parlamento europeo e la Commissione, hanno portato con sé il rafforzamento di una visione più conservatrice. È chiaro che su tutto questo plana il disordine mondiale e il nuovo corso delle relazioni con gli Stati Uniti.
Il nuovo corso dell’Ue, maturato in parte attorno al mutato contesto internazionale, si sta manifestando anche attorno a “un’esasperazione del deficit democratico che da sempre ha caratterizzato l’Unione” come ha scritto Elena Granaglia nell’editoriale di questa newsletter. Come leggere la decisione della Commissione europea di scavalcare il Parlamento ricorrendo a una procedura d’urgenza per i provvedimenti di riarmo?
È una decisione molto grave che non è passata inosservata. La proposta della Commissione di fondare il finanziamento del riarmo europeo sull’articolo 122 del Trattato, quindi senza coinvolgere il Parlamento europeo, oltre che anti-democratica potrebbe rivelarsi contraria al diritto dell’Unione – e per questo impugnabile di fronte alla Corte di Giustizia – in quanto è una base giuridica pensata solo per le emergenze e non per situazioni che si protraggono negli anni. Quindi, sì, è certamente una decisione sconcertante e non soltanto per il Parlamento europeo ma in generale dal punto di vista della democrazia all’interno del continente, è una circostanza che dovrebbe preoccupare anche i parlamenti nazionali. Questo quadro apre a due considerazioni. La prima: dopo gli anni dell’austerità seguiti alla crisi economica del 2008, che hanno messo in difficoltà il finanziamento di welfare, istruzione, sanità, occupazione, scopriamo che le risorse per il riarmo ci sono. La seconda, molto vicina anche al dna del ForumDD: la democrazia rappresentativa ha un valore inestimabile e i partiti che la incarnano devono continuare a giocare un ruolo importate ma un voto ogni cinque anni non basta. A fianco della democrazia rappresentativa è necessario consolidare una forma di partecipazione più puntuale e diretta, che tiri l’allarme quando serve. Se possibile battendosi affinché sempre più esponenti della società civile organizzata entrino nei parlamenti, compreso quello europeo.
A proposito di quest’ultimo punto. Qual è il ruolo che possono giocare la società civile e, più in generale, le organizzazioni di cittadinanza attiva nelle istituzioni europee?
In questa fase tali organizzazioni sono fondamentali e lo saranno sempre di più. Il mondo è attraversato da continue crisi sistemiche che necessitano di importanti strumenti di resilienza collettiva e che non possono attendere le elezioni ogni cinque anni. Per questo è essenziale sempre di più che chi rappresenta le istituzioni sia in costante contatto con la società e con i cittadini che devono essere presenti in forme organizzate. Le istituzioni, comprese quelle europee, devono rimanere ancorate a realtà locali, come diremmo noi devono adottare un approccio place-based, perché per trovare risposte complesse c’è bisogno di dialogo costante con tutti gli attori. Allo stesso tempo, le forme di organizzazione della società civile devono essere ulteriormente rafforzate e se io fossi nelle istituzioni europee farei in modo di consolidare gli strumenti che già esistono e inventarne di nuovi. Perché non ha senso avere una società civile organizzata se questa non diventa demos europeo. Riassumendo, siamo di fronte a una doppia necessità: da una parte bisogna che le istituzioni europee vadano sempre di più verso i luoghi, dall’altra che le forme di società civile organizzata si riconoscano in entità sovranazionali.
Ci stiamo avvicinando alla costruzione di quel demos europeo a cui ha accennato?
Non ne sono certa. Paradossalmente, ora che l’Europa sta entrando maggiormente nelle nostre case si sta rinazionalizzando. Mi spiego meglio: in Italia si parla di Europa rispetto all’Italia, in Francia rispetto alla Francia. Allo stesso tempo le elezioni europee continuano a essere su scala nazionale e a essere prese a pretesto per contestare o rafforzare i singoli governi in carica e la società civile fatica a organizzarsi a livello continentale. È difficile far emergere quali decisioni avvantaggiano tutta l’Europa anche se sul breve periodo possono apparire negative per questo o quel paese. E molti mezzi di informazione stanno giocando un ruolo fondamentalmente negativo nella rinazionalizzazione dell’Europa. In questo senso, il ForumDD potrebbe avere un ruolo centrale nel mettere in luce e promuovere gli interessi dell’Italia di appartenere a un continente economico, sociale, politico più unito e autonomo.
L’agenda 2030 e la lotta alle disuguaglianze sono temi destinati ad andare in soffitta? Possiamo fare solo delle battaglie per difendere quanto abbiamo conquistato oppure possiamo fare qualche passo in avanti sempre verso una maggiore giustizia sociale e ambientale?
Già alla fine della scorsa legislatura c’erano tentennamenti su una serie di conquiste, nonostante si trattasse del frutto di un processo democratico all’interno delle istituzioni europee, con il Parlamento Europeo molto presente, con riunioni con gli stakeholders a tutti i possibili livelli. Al primo accenno di un vento che stava cambiando, chi aveva abbracciato quell’idea di una trasformazione ecologica e sociale obtorto collo, ha subito deviato. Non posso dire che quella odierna si prefiguri come una legislatura in cui potremmo migliorare ed accelerare quanto raggiunto, anche se ce ne sarebbe bisogno, perché gli obiettivi per il 2050 del Green Deal o quelli del Pilastro Sociale dovrebbero essere ancora rafforzati. Credo però che possiamo cercare di salvare un impianto generale e non solo dei pezzettini. Penso al Green Deal e al fatto che osservatori come l’International Renewable Energy Agency ci dicono che la nuova produzione di energia negli ultimi anni è stata quasi tutta di energie rinnovabili, e che si voglia o no i fossili non saranno degli asset in futuro: c’è un mondo, anche economico, che è andato in una certa direzione, ha fatto determinate scelte e difficilmente tornerà indietro con buona pace di quanti vorrebbero che accadesse . Persino qualche semplificazione, pragmatica, può anche andare bene. Cosa diversa è stravolgere, per fare un esempio, la direttiva sulla due diligence perché quella era una conquista che permetterebbe ai cittadini, agli operatori economici che vanno nella giusta direzione, alla società, e alle istituzioni, di ottenere trasparenza non soltanto dal punto di vista climatico, ma anche sociale e dei Diritti Umani. A riguardo vorrei aggiungere una considerazione sul Rapporto Draghi che mi colpisce molto.
Prego.
Il fatto che non riesce a concepire l’idea che ormai nel mondo non ci sia soltanto il capitale economico da salvaguardare, ma che questo vada coniugato non solo con il capitale ecologico, ma anche con il capitale umano e il capitale sociale. E questo in direzione di un mondo pacifico, più uguale, che rispetta le generazioni future come nella Costituzione italiana recentemente emendata; un mondo che tiene insieme l’Agenda del 2030 e che rispetta l’intreccio tra questi quattro tipi di capitale, nella direzione del Summit del Futuro.
Queste idee sono quelle peraltro contenute nei rapporti “Sustainable Equality” e “The Great Shift” che traducevano l’Agenda 2030 in proposte concrete a breve, medio e lungo termine e che von der Leyen è stata costretta a riprendere nella scorsa legislatura. E sono le stesse idee che, dopo l’esperienza del Covid, ci hanno fatto pensare di rimettere al centro la salute, nel senso della cura e non soltanto della sanità, perché questo poteva diventare veramente ciò che tiene insieme il rispetto dell’ecologia con un’economia che funziona bene, anche competitiva, ma per tutti e tutte. Oggi sembra che abbiamo quasi dimenticato le lezioni del Covid. E invece sappiamo che fra le crisi sistemiche che ci attendono ci sarà probabilmente anche una nuova pandemia. Per questo credo che, seppur l’idea della Preparedness Union Strategy sia stata diffusa nel momento sbagliato, e nel modo sbagliato, e al netto dell’isteria guerrafondaia, è qualcosa che all’Europa mancava. Sarebbe stato giusto dotarsi degli strumenti che la strategia propone già dopo il Covid, e temo che ne avremo anche sempre più bisogno a fronte di episodi climatici estremi (la prossima estate si annuncia terribile, sia per il termometro che per la siccità). Così come sarebbe necessaria un’infrastruttura europea per vaccini e farmaci come quella proposta dal ForumDD e che si è arrivati ad inserire nel Rapporto sulle lezioni apprese post-covid.
Questa Europa adesso deve sapere che ormai non può più soltanto proteggere e adattare, ma deve anche essere capace di trasformarsi perché le crisi saranno sempre più frequenti, sempre più imprevedibili. E sebbene sembri quasi controcorrente occuparsi di Europa oggi per chi vuole affermare idee di giustizia sociale e ambientale, è proprio questo il momento in cui c’è più bisogno di agire. Dopo la proposta ForumDD sull’infrastruttura per vaccini e farmaci che ha preso di sorpresa il mondo delle industrie farmaceutiche, ci potrebbero essere altre occasioni, magari anche prima di quanto si possa immaginare. Per questo è bene non perdere l’Europa di vista, ma al contrario farne una priorità democratica.
*Anna Colombo, laurea in giurisprudenza all’Università di Genova nel 1987, è stata funzionaria al Parlamento europeo dal 1987 al 2021, dove ha ricoperto vari incarichi, anche di alto livello, come consigliere politico. Attualmente lavora “pro bono” per la Fondazione ItalianiEuropei e collabora con il Forum Disuguaglianze e Diversità, con l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile e con altre realtà associative italiane ed europee.










