Una proposta del Forum Disuguaglianze Diversità per affrontare la riapertura del Paese
L’assessora di una piccola città italiana sta immaginando di sostenere la riapertura dei negozi della sua città con un’ordinanza comunale che consentirà ai commercianti di mettere fuori dal negozio alcune sedie, qualche ombrellone e magari piccoli cesti di libri e giornali per consentire ai clienti di essere accolti con gentilezza e attenzione anche mentre faranno la fila. In una grande città del Mezzogiorno, ci sono alcuni soggetti del civismo attivo che insieme alle scuole e all’Amministrazione Comunale attraverso lo strumento della co-progettazione stanno riconvertendo le azioni di alcuni progetti di contrasto alla povertà educativa in laboratori estivi dove l’attenzione ai più fragili si intreccia con la finalità di fare emergere, attraverso la sperimentazione, indicazioni, centrate sul “si può fare”, utilizzabili per programmare a partire dall’esperienza l’apertura delle scuole a settembre. In alcuni territori si sono aperti tavoli territoriali in cui imprenditori e sindacati, con gli enti locali e istituzioni come l’Inail e le aziende sanitarie locali stanno lavorando insieme per darsi metodi e processi comuni e condivisi da seguire per la riapertura delle attività produttive, mettendo al centro il doveroso e fondamentale equilibrio tra esigenze delle imprese, tutela della sicurezza delle lavoratori e dei lavoratori e con essi della sicurezza e del benessere delle comunità locali. In alcuni zone interne del Paese ci sono piccoli e medi agricoltori, che con ristoratori e operatori turistici stanno progettando insieme il rilancio del turismo nelle loro zone, collegando e rafforzando tale finalità con un idea di turismo sostenibile e con la valorizzazione delle filiere corte in agricoltura e nell’allevamento.
Sono magnifiche invenzioni che nascono dalle risorse, dai talenti e dalle vocazioni di territori e di attori imprenditoriali, sociali e culturali che hanno capito che mai come oggi è necessario sconfinare dal consolidato per costruire nuove alleanze e ponti con altri e altre differenti. Che percepiscono come di fronte alla complessità resa più densa dall’emergenza l’unica strada è quella di attivare piattaforme integrate di co-progettazione tra tutte le diverse risorse e istituzioni locali. Che hanno chiaro come nell’immaginare la nuova normalità, siano necessari ribaltamenti di prospettiva che rimettano al centro, le persone con i loro diritti e la loro felicità, i beni comuni, la tutela dei diritti e la promozione di buoni lavori. Che sono consapevoli della loro intelligenza e della loro esperienza ma che al contempo hanno chiaro che in questo loro procedere, proprio perché hanno la sensazione di imparare camminando, hanno bisogno di uno stato autorevole. Autorevole non perché ordinativo ma perché capace da un lato di offrire cornici e indirizzi di senso e orientamento, chiari e certi nell’indicare ma capaci di non confondere tale necessità con la semplice proposta di regole rigide e multe da pagare. D’altro lato in grado di proporsi come soggetto capace di stare accanto attraverso i comuni che sono le istituzioni più vicine ai luoghi e alle comunità. L’istituzione più in grado, sempre che ne abbia la capacità e la disponibilità, di favorire il protagonismo e la partecipazione dei diversi attori che di volta in volta sono interessati alla norma per la sua migliore declinazione a livello locale.
Quella che invece sembra purtroppo prevalere è la logica direttiva calata dall’alto, senza alcun confronto con il livello orizzontale. Un impianto ordinativo che non solo è inefficace e rischioso per le sue ricadute spesso inadeguate per un Paese fatto di territori, economie, relazioni e livelli istituzionali profondamente differenti ma che porta con se altre tre ricadute negative: schiaccia i comuni in un mero ruolo di “guardiani” e non di attivatori pubblici di partecipazione che è poi l’unica chiave che in momenti come questi produce e sedimenta l’assunzione piena delle responsabilità di cittadinanza. De-responsabilizza i territori e produce senso di lontananza dallo Stato nelle cittadine e dei cittadini, soprattutto nelle aree più vulnerabili e tra quelle colpite in modo duro dagli effetti della Pandemia. Mette in campo un metodo che non guarda alla prospettiva perché non ha in se né processi di condivisione delle soluzioni, né sistemi di valutazione reciproca, che consentano in corso d’opera, e sempre entro le cornici stabilite dal livello centrale, di aggiustare, mettere a sistema, rilanciare proposte di modifica della norma laddove la stessa risulta inadeguata o dannosa.
Insomma, quello che serve, è uno Stato autorevole perché capace, attraverso l’emanazione di indirizzi e orientamenti, di uscire dalla contrapposizione di due atteggiamenti opposti e entrambi dannosi: da una parte il centralismo autoritario, che non si confronta ma impone. D’altra parte il rassegnarsi a un localismo caotico e disomogeneo, dove tutti fanno cose differenti e spesso in contraddizione, centrate più sulla logica di creare immediato consenso, piuttosto che assumere una visione lungimirante perché in grado, attraverso l’analisi di quello che accade e il confronto concreto con i diversi attori sociali, produttivi e culturali del territorio, di guardare al medio lungo periodo, sapendo coniugare la risposta all’emergenza con l’apertura di una strada verso una prospettiva di nuova normalità.
Esponenti di governo, virologi esperti, e opinionisti ci dicono che il vero antidoto che può preservarci da una nuova diffusione del virus sono i comportamenti individuali e il senso di responsabilità che ognuno di noi ci saprà metterci. Lo capiamo e lo avvertiamo in ogni luogo di vita e di lavoro. Ma non basta. Quello stesso senso di responsabilità potrà affermarsi e crescere solo nel confronto collettivo, in quella partecipazione alla gestione della ripresa economica, sociale e civile delle nostre comunità che fa crescere il nostro sapere, che ci rende consapevoli, che ci immunizza dalle fake news e dalla sfiducia nelle autorità. Serve, subito, che ogni decisione pubblica sia concepita come un indirizzo, fermo e robusto, e al tempo stesso aperto a essere attuato, con responsabilità, in ogni nostra comunità.
Questo articolo è stato pubblicato su Repubblica.it il 18 maggio 2020.