Le disuguaglianze economiche, sociali e di riconoscimento sono assai elevate e sono cresciute negli ultimi trenta anni

Per quanto riguarda le disuguaglianze economiche, una gran mole di dati documenta il loro sistematico peggioramento per il complesso dei paesi industriali o Occidentali nell’ultimo trentennio. Gli indici di diseguaglianza di reddito e di ricchezza, che erano migliorati nel dopoguerra e fino a tutti gli anni settanta, mostrano un peggioramento progressivo dagli anni ‘80, comunque vengano misurati: misura sintetica di dispersione dei redditi (indice di Gini), divari di crescita dei redditi per fasce di reddito, misure varie di povertà, quota dei redditi totali dell’1% o 1‰ con massimo reddito, misure di concentrazione della ricchezza (cfr. Anthony Atkinson, Joe Hasell, Salvatore Morelli, Max Roser, 2017  e Anthony Atkinson, 2015).  Assai elevata e in forte crescita è in particolare la concentrazione della ricchezza privata (cfr. Thomas Piketty, Capital in the Twenty-First Century, Cambridge MA, Harvard University Press, 2014; and Facundo Alvaredo, Lucas Chancel, Thomas Piketty, Emmanuel Saez, Gabriel Zucman (ed.)  World Inequality Report 2018). Questo fenomeno riguarda il complesso del mondo: l’1% più ricco concentra oggi una quota del reddito mondiale stimata fra il 15% (sulla base delle rilevazioni delle indagini nazionali) e il 30% (integrandole con stime dei redditi non dichiarati e della ricchezza nascosta); e circa il 50% della ricchezza mondiale (cfr. Branko Milanovic, Global Inequality. A new Approach for the Age of Globalization, The Belknap Press, 2016, tav. 1.1).

 

Anche in Italia, le disuguaglianze economiche sono elevate e mostrano un trend crescente (cfr. figura allegata e Chartbook of economic Inequality,  e il materiale raccolto nel Documento di sintesi dei tre workshop preparatori del Forum organizzati dalla Fondazione Basso.  La disuguaglianza di reddito è in aumento dall’inizio degli anni ’80. La disuguaglianza di reddito disponibilemisurata dall’indice di Gini è inferiore a quella degli altri tre membri mediterranei dell’Unione Europea, ma è superiore a quella di Francia e Polonia e assai superiore a quella della Germania, dei paesi nord-Europei e dei membri centro-europei dell’UE appartenenti all’ex-blocco-sovietico. La crisi ha ridotto i redditi familiari lungo tutta la distribuzione ma ha avuto effetti più forti soprattutto per le fasce meno abbienti o povere. Nel 2014 il 10% di italiani con il reddito più basso aveva, in media, a disposizione un reddito inferiore di circa un quarto rispetto a quello del 2008. Circa un cittadino ogni 8 vive in condizione di grave deprivazione materiale. Nel 2016 il 30% dei residenti in Italia è a rischio di povertà o esclusione sociale (cfr. ISTAT, La povertà in Italia, 2017). Fortemente cresciute, rispetto agli anni ’80, sono le quote di reddito e di ricchezza detenute dall’1% più ricco, passate rispettivamente dal 6,9% al 9,4%, la prima, e dall’11% al 21%, la seconda (cfr. Anthony Atkinson, Joe Hasell, Salvatore Morelli, Max Roser, 2017 ).

Disuguaglianze economiche in Italia dagli anni ’80 a oggi

Le disuguaglianze sociali sono ben misurate in tutta l’Unione Europea dall’indagine EU-SILC. E mostrano l’insuccesso dell’Unione in questi ultimi venti anni, anche prima della crisi, di garantire l’estensione a tutti i cittadini Europei dei benefici dell’apertura dei mercati (cfr. ad esempio http://www.delorsinstitute.eu/011-25508-Solidarite-2-0.html). Anche in Italia, le disuguaglianze sociali sono elevate (cfr. Documento di sintesi dei tre workshop preparatori del Forum ). È vero per l’accesso a servizi come gli asili nido, ma anche per la qualità della salute, che in Italia, come in altri paese, è fortemente influenzata dal livello di istruzione. La riduzione e riorganizzazione della spesa pubblica per la non autosufficienza ha accresciuto la dipendenza della gestione e del finanziamento del processo di cura dalle famiglie, incrementando così il rischio di povertà delle famiglie coinvolte nella cura degli anziani. La disuguaglianza nell’accesso ai servizi fondamentali e nella loro qualità ha una forte dimensione territoriale.

 

Le disuguaglianze di riconoscimento sono meno analizzate, perché riguardano un fenomeno di difficile misurazione, ma le conseguenze di queste disuguaglianze sono colte da indagini di campo e sono visibili sul terreno politico: proprio le fasce sociali che si sentono perdenti su questo fronte appaiono più vicine, al momento del voto, ai nuovi movimenti che identificano nell’apertura delle frontiere e dei mercati, nella globalizzazione e nelle migrazioni le cause dei loro problemi. Lo si vede da tempo nel caso del lavoro operaio. Lo si è constatato di recente con riguardo alle popolazioni delle aree rurali. Nel caso degli Stati Uniti, ad esempio, una ricerca condotta nel Wisconsin (swing state nelle elezioni presidenziali del 2016) negli ultimi dieci anni (Katherine J. Cramer, The Politics of Resentment, Chicago University Press, 2016) conclude: “the people … felt disrespected … people in the city … don’t understand what rural life is like, what’s important to us … they think we are bunch of redneck racists … all of them felt treaded o, disrespected and cheated out of what they felt deserved”. In Italia, le testimonianze raccolte durante la costruzione della Strategia per le aree interne confermano il quadro. È inoltre significativo che le disuguaglianze di riconoscimento siano state colte e studiate come fattore determinante nel produrre una dinamica autoritaria da Karen Sennert nel 2005 nel suo The Authoritarian Dynamic, e che ciò le abbia consentito di prevedere con oltre dieci anni di anticipo l’onda attuale. Le comunità e i gruppi dei non riconosciuti tendono ad essere attratti più dalla chiusura e dal rancore, piuttosto che dall’apertura e dalla cura. Vivono con sospetto e fastidio ogni forma di ospitalità.

 

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