I 4 referendum sulle tematiche del lavoro insieme a quello sulla cittadinanza sono un’occasione di democrazia. Provo qui a spiegarne il perché.
In primo luogo se su quelli inerenti il lavoro prevalesse il “si” sarebbe un primo importante segnale di inversione di tendenza rispetto a politiche che da anni hanno via via indebolito le tutele e i diritti del lavoro. Un primo segnale che se si vuole davvero combattere le disuguaglianze e le povertà vanno riequilibrate le asimmetrie di potere tra capitale e forza lavoro.
Una seconda ragione riguarda il fatto che tutti i 5 quesiti pur guardando all’insieme delle persone parlano in particolare ai giovani perché, se si guarda ai 4 referendum promossi dalla Cgil sono proprio loro che pagano il prezzo di un lavoro che spesso manca e che quando c’è è troppo spesso precario, sottopagato, sfruttato.
Per terzo, e ancora guardando ai giovani, il referendum sulla cittadinanza, pur con un quesito che propone la riduzione da 10 a 5 anni del periodo di presenza necessario per ottenere la cittadinanza (comunque sarebbero 2 milioni e mezzo di persone a godere immediatamente dei suoi effetti) se dovesse risultare vincente darebbe una spinta positiva e importante per tornare a mettere al centro del dibattito politico la riforma della cittadinanza oggi insabbiata nella palude determinata dalla cattiveria e della propaganda che segna le politiche del governo su tali tematiche (anche se per sincerità occorre dire che tale situazione si è determinata anche per la mancanza di coraggio e lungimiranza anche dei governi precedenti).
Un’altra ragione riguarda l’occasione che i referendum offrono alla sinistra di tornare nelle piazze e tra la gente con argomenti e proposte che riguardano la vita concreta delle persone. Provando a ritrovare credibilità tra quelle aree di popolazione che sentono la politica lontana dalla loro vita reale. Anche per evitare che in tale distanza, resa dura da disuguaglianze e povertà, sia solo la destra a trovare messaggi appetibili a partire da quelli di criminalizzazione delle persone con background migratorio.
Infine. Se si riuscisse a raggiungere il quorum sarebbe un punto messo a segno per arginare la deriva autoritaria che stiamo vivendo in Italia, in Europa e nel mondo. Restituire alle persone la percezione che il loro voto conta, che può nel concreto impattare sul miglioramento delle loro vite e in quella di altri milioni di persone diventa importante per rammendare quello strappo relazionale e di fiducia tra politica e cittadini che produce come primo e più evidente risultato l’allargarsi dell’astensionismo.
Per tutte queste ragioni credo sia importante impegnarsi per fare sì che l’8 e 9 giugno si raggiunga il quorum e per fare vincere i “si” su tutti e cinque i quesiti. Per questo chiedo a tutti e tutte quelli convinti di darsi il compito di convincere almeno 10 indecisi a testa a andare a votare. Sarebbe anche un segnale a quei partiti, in questo caso di tutti gli schieramenti, che si rifiutano di cambiare una legge elettorale che da anni favorisce il non voto perché ci impedisce di mandare in parlamento le persone che decidiamo di votare solo per garantire una classe politica auto-referenziale di mandare in parlamento non chi è più capace ma chi la garantisce di più nel mantenimento delle proprie posizioni di potere.
Infine in una città come Napoli dove moltissimi sono i giovani che sono costretti a andare fuori città e per studio o per lavoro diventa essenziale fare sapere il più possibile a tutte e tutti loro che si può votare anche fuori sede ma solo se si comunica tale volontà entro il 4 maggio comunicandolo al comune di Napoli (qui il link utile: https://www.comune.napoli.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/53898).
Per tutte queste ragioni il 12 aprile sarò a piazza Garibaldi insieme alla CGIL e a più di 100 organizzazioni per aprire la campagna referendaria. Perché, come dice bene uno degli slogan a sostegno del referendum: “La nostra rivolta è il voto”.
Foto di Glen Carrie su Unsplash










