Un commento sulla governance europea. Un approfondimento dal terzo numero della newsletter “Quale Europa. Cronache per capire, discutere, scegliere”
Il Porto Social Forum del 18-19 settembre 2025, su “Quality Jobs in a Competitive Social Europe” ha visto le istituzioni dell’Ue e le parti sociali impegnate nel rinnovare il dibattito sulle politiche sociali europee a partire dalla Dichiarazione di Porto. Quest’ultima, che risale all’8 maggio 2021, è espressione dell’innovativo afflato solidaristico affermatosi nelle politiche dell’Unione a fronte alla pandemia da Covid-19, e tende ad un generalizzato incremento della coesione sociale nell’Ue, sulla base del quadro di valutazione determinato dal Piano di azione del 4 marzo 2021, volto a monitorare i progressi verso l’attuazione dei principi del Pilastro europeo dei diritti sociali del 2017. In particolare, mira a misure occupazionali che migliorino la qualità del lavoro, a promuovere l’istruzione, a ridurre la povertà e le disuguaglianze, a difendere salari più equi, a combattere l’esclusione sociale. Successivamente, nell’ambito del dibattito sulla competitività europea, che troverà sistemazione nel Rapporto Draghi del settembre 2024, la Dichiarazione di La Hulpe, del 16 aprile 2024, riprende e adatta i temi delle politiche sociali al mutato contesto europeo delle crisi geopolitiche, dell’impennata dell’inflazione, del ripristino del Patto di Stabilità e del rafforzamento dei poteri di sorveglianza della Commissione (Landi, Lo Conte, 2024).
Il Porto Social Forum di settembre 2025 avrebbe dovuto elaborare e potenziare misure per “lavori di qualità”, da incentivare di pari passo con una transizione verde e digitale “equa e inclusiva”, tuttavia, oltre che produrre risultati insoddisfacenti, ha consentito di verificare ancora una volta il “deficit” di partecipazione del Parlamento europeo alla formulazione delle politiche sociali dell’Unione. Ciò è da ricondurre, in buona misura, alla natura degli atti adottati. Basti pensare che il Pilastro europeo dei diritti sociali è stato istituito dalla Commissione sulla base di due atti di soft law – la Raccomandazione 761 del 26 aprile 2017 e la Proclamazione inter-istituzionale di Goteborg del 17 novembre 2017 – che dispongono in ordine a principi e diritti che non sono direttamente applicabili e la cui vincolatività richiede la trasposizione in atti normativi da parte dell’Unione, ma soprattutto degli Stati membri, considerato che le politiche sociali sono di competenza degli Stati, e oggetto dell’intervento dell’Unione solo in via di sussidiarietà (S. Giubboni, 2018). Si comprende bene come la Commissione, titolare (quasi) esclusiva dell’iniziativa legislativa, svolga un ruolo preminente rispetto al Parlamento europeo.
A riguardo, nel recente Forum portoghese, gli europarlamentari della commissione per l’occupazione e i diritti sociali (appartenenti al PPE, S&D, Renew Europe, e Verdi e Sinistra) hanno avanzato l’ipotesi di non firmare una nuova bozza della Dichiarazione del 2021, in tal modo paventando l’eventualità di boicottare lo svolgimento dei lavori per rivendicare la possibilità di una loro maggiore partecipazione. A seguito di questa iniziale presa di posizione, il 18 settembre 2025, gli europarlamentari invertono il loro orientamento e dichiarano che avrebbero partecipato al Forum e anche firmato i documenti. L’europarlamentare Estelle Ceulemans (S&D), partecipa al Forum il 19 settembre 2025, con un intervento dal titolo: “Advancing on Quality Jobs for a More Competitive Europe: towards a 4th 2030 target in the European Pillar of Social Rights Action Plan”.
La vicenda, pur nella sua gravità, è interessante. Da questo scenario emergono, infatti, due questioni che si aggiungono alla lunga lista dei “punti deboli” del Parlamento europeo.
In primis, viene in evidenza l’incerto posizionamento del Parlamento europeo nelle procedure di soft law che è, palesemente, il corollario della sua generalizzata debolezza nel sistema di governo dell’Unione. A monte delle motivazioni politiche, e del rapporto maggioranza/opposizione, esiste un ostacolo istituzionale all’espansione del suo ruolo istituzionale. In altre parole, se già il Parlamento europeo è debole nella procedura legislativa ordinaria – rispetto al quale è sostanzialmente privo di iniziativa legislativa e solo parzialmente dotato di un potere di veto in grado di bloccare le deliberazioni – non è stupefacente che venga escluso da procedure di soft law, nel cui ambito la Commissione non ha alcun obbligo di consultazione dell’organo parlamentare.
In secondo luogo, costituisce un ulteriore “punto debole” del PE la mancanza di un vero e proprio “statuto dell’opposizione” nel regolamento parlamentare, che dovrebbe essere posto
a garanzia dei rapporti tra maggioranza e opposizione, anche all’interno delle commissioni
parlamentari (Saitta, 2007). Tale mancanza è a sua volta dovuta alle peculiari dinamiche politiche interne al Parlamento europeo, tradizionalmente non riconducibili ad una netta polarizzazione tra maggioranza e opposizione, che al contrario di recente si va sempre più configurando.
Nel caso del Porto Social Forum, le motivazioni dell’esclusione degli europarlamentari della commissione EMPL paiono infatti fortemente politiche e il fatto che nella commissione si sia riusciti – solo occasionalmente – a creare una maggioranza progressista grazie al coinvolgimento di alcuni parlamentari del PPE, dimostra che uno “statuto dell’opposizione” è necessario per garantire formalmente la partecipazione delle opposizioni. Senza l’adesione del PPE gli europarlamentari progressisti sarebbero stati in minoranza. Ci si chiede quindi: sarebbero stati esclusi ugualmente dalle previe negoziazioni? Oppure non avrebbero intimorito nessuno?
Il finale per ora rimane aperto, quello che si può al momento concludere è che queste recenti vicende rivelano come in un contesto di soft law, tra maggioranze occasionali e minoranze indifese, la posizione del Parlamento europeo è ancora più precaria dell’usuale, a dimostrazione, ancora una volta, del basso tasso di democraticità e di responsabilità sul piano politico, del sistema europeo.





