Un commento sulle ultime modifiche alla Corporate Sustainability Due Diligence. Un approfondimento dal terzo numero della newsletter “Quale Europa. Cronache per capire, discutere, scegliere”
Fra i diversi punti oggetto di revisione delle direttive Corporate Sustainability Reporting (CSR) e Corporate Sustainability Due Diligence (CSDD),- che impongono alle imprese rispettivamente di rendicontare il proprio impatto ambientale e sociale e di identificare, prevenire e affrontare le violazioni dei diritti umani e i danni ambientali nelle proprie attività e catene di approvvigionamento attraverso una procedura auto-organizzata di prevenzione dei rischi (Sustainability due diligence) – emerge la questione relativa alle modifiche all’articolo 29 della CSDDD. Nella direttiva originaria (approvata dall’Unione Europea nel giugno 2024, prima delle recenti elezioni europee), tale disposizione prevede l’istituzione nei 27 Stati membri di un regime di responsabilità civile uniforme a carico delle imprese, europee o non europee che operano nel mercato dell’Unione, responsabili di violazioni dei diritti diritti umani e/o dell’ambiente lungo le proprie catene di attività.
La Proposta di emendamento della CSDDD, pubblicata dalla Commissione europea nel febbraio 2025, elimina questa norma, restituendo la competenza in materia di responsabilità civile ai singoli ordinamenti nazionali. Nella versione proposta, dunque, la responsabilità civile delle imprese soggette alla Direttiva sulla sustainability due diligence sarebbe disciplinata dalle norme interne degli Stati membri, nella misura in cui siano applicabili. Tale soluzione è stata supportata anche dalla Commissione affari legali del Parlamento Europeo nel testo adottato il 13 ottobre grazie a un compromesso al ribasso nella maggioranza (socialisti, popolari e liberali), testo che, se approvato dal Parlamento, avrebbe formato la base per l’ulteriore negoziazione con il Consiglio Europeo nel cosiddetto trilogo. Nonostante le avvertenze di Lara Wolters, negoziatrice del gruppo S&D, che aveva sottolineato il rischio di creare “un mosaico giuridico da incubo”, con maggiori spazi di elusione e sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici, alla fine la posizione dei Popolari aveva prevalso, riaffidando la materia ai singoli Paesi “perché questo volevano le imprese” (sic!).
Il compromesso non ha tuttavia retto al voto dell’Eurocamera del 23 ottobre, in cui evidentemente sia una parte dei Socialisti & Democratici sia una parte dei Popolari per ragioni opposte hanno votato contro (assieme alle minoranze di destra e sinistra). Adesso ci si aspetta che i Popolari possano cercare accordi con le destre per affossare ulteriormente la direttiva, in vista della prossima votazione del 13 novembre.
Che tuttavia si trattasse di un compromesso decisamente al ribasso, poco accettabile da tutti coloro che si sono occupati con serietà della elaborazione della direttiva CSDD, è attestato dal giudizio che ne aveva dato Angelica Bonfanti, che insegna diritto internazionale all’Università di Milano, secondo cui due erano gli emendamenti più problematici nella revisione dell’art. 29:
- l ‘eliminazione del diritto per le associazioni di rappresentare in giudizio le vittime di violazioni;
- la mancata qualificazione delle regole sui doveri di due diligence come norme di applicazione necessaria, ossia regole che devono trovare applicazione e rispetto anche quando i danni sono causati sul territorio di uno stato extra-europeo.
Queste criticità, unite alla limitazione dei doveri di diligenza ai soli partner diretti (specialmente fornitori) delle imprese e alle altre limitazioni approvate nei documenti di “semplificazione” nei mesi scorsi (riduzione del ruolo degli stakeholder, eventuali riduzioni dimensionali delle imprese cui la direttiva si applica, etc. – già commentati nella seconda newsletter del ForumDD) suggeriscono che passo dopo passo si proceda nel cammino intrapreso dalla Commissione di svuotamento ed indebolimento dell’efficacia della Direttiva, prima ancora che di essa sia stata fatta alcuna sperimentazione.
Se questo era il giudizio sul modo cedevole di gestire la materia da parte della Commissione, adesso tuttavia vedremo in Parlamento fin dove si spingerà il cedimento dei Popolari alle destre, e quanto verrà disvelata l’adesione solo di facciata ai principi dello sviluppo sostenibile da parte dei vertici di imprese alla cui pressione lobbista i Popolari rispondono. E quindi, al contrario, dimostrata la correttezza (oltre che la difficoltà) dell’iniziativa di render obbligatorie – certo della adesione volontaria di quelle imprese non ci si può fidare – alcune procedure di rendicontazione e di due diligence della sostenibilità.






