Un commento sulla valutazione della ricerca in Europa e delle scelte antitetiche del governo italiano (approfondimento al secondo numero della newsletter “Quale Europa. Cronache per capire, discutere, scegliere”)
Nel luglio 2022, dopo mesi di un complesso lavoro di co-creazione, oltre 350 organizzazioni
scientifiche di più di 40 Paesi hanno finalizzato e sottoscritto l’Accordo per la Riforma della
Valutazione della Ricerca (Agreement on Reforming Research Assessment), promosso dalla Commissione Europea nell’ambito della costruzione di uno Spazio Europeo della Ricerca più equo, inclusivo e responsabile.
Obiettivo dell’Accordo è superare modelli di valutazione ormai universalmente riconosciuti come inadeguati, basati su indicatori quantitativi spesso distorti, come il numero di pubblicazioni o l’impact factor delle riviste. L’Accordo propone un sistema che riconosca la molteplicità dei contributi alla ricerca, premiando qualità, innovazione, responsabilità scientifica, apertura dei dati e impatto sociale della conoscenza prodotta. Il cuore del nuovo approccio è il ritorno al giudizio qualitativo esperto (peer review), supportato, ma non sostituito, da indicatori numerici utilizzati in modo responsabile.
Come ha affermato il Presidente della European University Association, Michael Murphy: “È il momento di andare oltre le dichiarazioni e definire chiaramente il futuro della valutazione della ricerca. Università e ricercatori devono ora scegliere come vogliono essere valutati”. In termini ancora più netti, Marc Schiltz, presidente di Science Europe, ha sottolineato: “Il “publish or perish” e l’uso acritico delle metriche ci hanno portato in un vicolo cieco. È tempo di riconoscere appieno il valore generato dai ricercatori”.
Su questa base è nata, sotto l’egida della Commissione, la Coalition for Advancing Research Assessment (CoARA), che costituisce oggi il principale spazio europeo di collaborazione, sperimentazione e apprendimento reciproco su questi temi. La Coalizione invita i firmatari — ad oggi quasi 850, tra i quali figurano 42 università statali italiane, due terzi del totale — a definire tempi e modalità di attuazione dei principi dell’Accordo, in relazione ai rispettivi contesti istituzionali e nazionali, ma all’interno di un quadro di principi comuni e condivisi, riassunto qui sotto.
Le valutazioni devono:
– Basarsi su un giudizio qualitativo, imparziale e fondato sull’expertise di pari, supportato da un uso responsabile degli indicatori quantitativi.
– Premiare la qualità della ricerca e i suoi molteplici potenziali impatti sulla società, sulla scienza e sull’innovazione.
– Riconoscere la diversità dei risultati (non limitandosi alle pubblicazioni su riviste scientifiche), delle attività (quali insegnamento, tutorato, scambio di conoscenze), e delle pratiche di ricerca (inclusi la scienza aperta e la collaborazione interdisciplinare).
– Garantire l’adesione dei ricercatori a elevati standard di etica e integrità, il rispetto di una
condotta di ricerca responsabile e, ove possibile, la promozione di pratiche di ricerca aperta.
– Applicare criteri e procedure di valutazione che rispettino la varietà delle discipline scientifiche e dei contesti nazionali.
– Sostenere la diversità dei profili e dei percorsi di carriera dei ricercatori e delle ricercatrici,valorizzando i contributi individuali, il lavoro di squadra, il lavoro interdisciplinare e intersettoriale e i risultati che ne conseguono.
Ovviamente, l’Accordo non nasce dal nulla, ma affonda le radici in un terreno reso fertile da riflessioni da tempo in corso nella comunità scientifica, che avevano prodotto la San Francisco Declaration on Research Assessment (DORA) del 2012 e, più recentemente, il programma olandese Recognition & Rewards, lanciato nel 2020, con l’obiettivo di attuare le linee guida delineate nel position paper “Room for Everyone’s Talent”, pubblicato nel novembre 2019.
Questo documento, sottoscritto da tutte le università olandesi, dai centri medici universitari, dai principali enti di ricerca e finanziatori pubblici, ha segnato l’inizio di un cambiamento culturale volto a promuovere una valutazione multidimensionale delle carriere accademiche, che valorizzi aspetti quali la ricerca, l’insegnamento, l’impatto sociale, la leadership e, per i centri medici universitari, l’assistenza ai pazienti. Il Programma rappresenta un esempio significativo di come una collaborazione nata ‘dal basso’ (bottom up) possa condurre a una trasformazione culturale complessiva nel sistema universitario nazionale, promuovendo una valutazione della ricerca più equa e orientata alla qualità.
L’Accordo, ispirato da queste buone pratiche, rappresenta oggi uno spartiacque nelle politiche europee della ricerca: non solo per i suoi contenuti, ma per il metodo di costruzione condivisa che lo ha caratterizzato. Ad esso sono ispirate riforme introdotte nei mesi successivi alla sua sottoscrizione. Per esempio, in Germania, il principale ente finanziatore della ricerca pubblica, la Deutsche Forschungsgemeinshaft (DFG), ha reso obbligatorio dal 1° marzo 2023 l’uso di un modello standardizzato di curriculum vitae per i programmi di finanziamento individuali. Questo nuovo formato, definito “ibrido”, combina elementi tabellari con sezioni narrative, che consentono ai candidati e alle candidate di presentare in modo più completo e contestualizzato le proprie esperienze e risultati accademici. L’obiettivo principale è promuovere una valutazione della ricerca più orientata alla sostanza, riducendo l’enfasi su metriche quantitative come l’impact factor o l’h-index. Il modello prevede anche l’inclusione di informazioni su circostanze personali rilevanti, come periodi di interruzione per motivi personali o altre esperienze che hanno influenzato il percorso accademico della persona candidata. Inoltre, limita il numero di pubblicazioni elencabili, incoraggiando una selezione qualitativa dei contributi più significativi.
Analogamente, in Spagna, la Ley Orgánica del Sistema Universitario (LOSU), approvata nel marzo 2023, benché non menzioni esplicitamente l’Accordo, incorpora elementi che riflettono l’impegno della Spagna verso una riforma della valutazione della ricerca in linea con gli standard europei.
Ad esempio, la LOSU riconosce l’importanza della peer review qualitativa e l’uso responsabile degli indicatori quantitativi. Inoltre, l’Agencia Nacional de Evaluación de la Calidad y Acreditación (ANECA), omologa della nostra Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR), ha espresso il suo impegno nel promuovere pratiche di valutazione della ricerca allineate con l’Accordo.
Tutto questo è in sintonia con la ‘nuova’ Carta Europea dei Ricercatori, che aggiorna la versione del 2005. La Carta, pubblicata come annesso alla Raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea del 18 dicembre 2023 su “Un quadro europeo per attrarre e trattenere i talenti della ricerca, dell’innovazione e dell’imprenditorialità in Europa”, sancisce che l’attività di ricerca deve “essere finalizzata al bene dell’umanità e all’ampliamento delle frontiere della conoscenza umana…” e invita ricercatori e ricercatrici a “integrare nei loro progetti la scienza dei cittadini. Ciò significa coinvolgere i cittadini nella concezione, progettazione e attuazione dei progetti di ricerca” in tutte le discipline. “Si tratta di un mezzo ideale per democratizzare la scienza, creare fiducia in essa e sfruttare la straordinaria intelligenza e le immense capacità della società per condurre ricerca e innovazione di eccellenza”. Per quanto riguarda la valorizzazione delle carriere, il loro sviluppo e la stessa progressione, viene a più riprese enfatizzata la necessità di “incoraggiare e sostenere percorsi non lineari e multiprofessionali, intesi come percorsi caratterizzati da mobilità geografica, disciplinare, intersettoriale e interorganizzativa”. In piena sintonia con l’Accordo, per quanto riguarda la valutazione si raccomanda “il riconoscimento di attività, pratiche e risultati della ricerca sempre più diversificati. Di conseguenza la valutazione dovrebbe essere basata principalmente su un giudizio qualitativo, per il quale assumono un ruolo centrale la valutazione inter pares e la valutazione da parte di altri esperti competenti, suffragata dall’utilizzo responsabile di indicatori quantitativi…”. Chi assume ricercatori (università, enti di ricerca, imprese, pubbliche amministrazioni) deve applicare meccanismi di valutazione atti ad accertare “la qualità complessiva dell’impatto di questi ultimi sulla società, sulla scienza e sull’innovazione, la varietà delle attività svolte, le pratiche di scienza aperta e il valore della mobilità geografica, interdisciplinare e intersettoriale.” Insomma, una delle finalità principali della revisione della Carta è proprio quella di porre rimedio ai limiti acclarati di procedure di valutazione incentrate esclusivamente su metriche quantitative, che, comportano una minore propensione ad impegnarsi in ambiziosi progetti di ricerca ad alto rischio, in attività di scienza aperta, mobilità, attività intersettoriali e interdisciplinari, di co-creazione della conoscenza con cittadini e cittadine, proprio perché non funzionali alle legittime aspirazioni di assunzione e di carriera. A fronte di tutto ciò e in considerazione della partecipazione dell’Italia al processo — particolare non trascurabile: anche l’ANVUR ha sottoscritto l’Accordo — ci si sarebbe attesi che la necessaria, profonda revisione dell’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN) fosse ispirata (e pienamente coerente con) ai principi dell’Accordo.
Niente di tutto ciò. Ci troviamo invece di fronte a un perfetto esempio di applicazione della massima del nipote del Principe di Salina: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”. Il testo del recente schema di disegno di legge che prevede l’abolizione dell’Abilitazione scientifica nazionale (ASN) e l’introduzione di ‘nuovi’ criteri di ammissione ai concorsi universitari appare largamente ancorato a logiche valutative tradizionali. Il testo della proposta prevede infatti che il possesso dei “requisiti di produttività e qualificazione scientifica” venga definito a livello nazionale dal Ministero, su proposta dell’ANVUR. E poiché l’Accordo non viene citato e niente viene detto sulla ‘natura’ dei suddetti requisiti, rimane alta la probabilità di continuare a fondarsi prevalentemente su indicatori quantitativi di produttività scientifica (numero di pubblicazioni, indici bibliometrici tradizionali). Il sospetto che la quantità continui a far aggio sulla qualità è corroborato da diversi passaggi del testo, ad esempio là dove si parla di “indicatori minimi di quantità, continuità e distribuzione temporale dei prodotti della ricerca”.
Inoltre, a parte un riferimento al trasferimento tecnologico “ove le specifiche caratteristiche del settore scientifico lo richiedano”, si registra un’assoluta ‘impermeabilità’ nei confronti di quelle dimensioni che sia l’Accordo sia i modelli già applicati in altri paesi dell’Unione considerano centrali per l’accesso alle carriere della ricerca universitaria e la progressione nelle stesse. Lo schema di disegno di legge continua a premiare prioritariamente la produttività scientifica individuale, con uno spazio limitato per il riconoscimento delle attività di formazione e l’assenza totale di attenzione verso attività d’impegno sociale, diversità di percorsi di carriera e scienza aperta.
In sintesi, pur segnando formalmente il superamento dell’ASN, lo schema si limita a un riassetto procedurale, senza cogliere l’opportunità di introdurre un vero cambiamento culturale nella valutazione della docenza universitaria, in linea con gli standard europei più avanzati. Come al solito, con i piedi stiamo in Europa, ma con la testa… altrove.








