Un commento sulla Roadmap for Women’s Rights presentata dalla Commissione europea lo scorso 7 marzo (approfondimento al primo numero della newsletter “Quale Europa. Cronache per capire, discutere, scegliere”)
La presentazione lo scorso 7 marzo da parte della Commissione della Roadmap for Women’s Rights è stato l’evento più significativo di queste ultime settimane sul fronte dell’equità di genere. Ma cosa contiene questo documento? Nel testo che la accompagna vengono dapprima richiamati i risultati degli ultimi cinque anni come le nuove regole sulla trasparenza delle retribuzioni, sulla conciliazione dei tempi di vita e lavoro e condivisione di responsabilità di cura, sull’equilibrio di genere nella composizione dei cda delle imprese e sulla lotta contro la violenza sulle donne, ma viene evidenziato anche come nonostante questi risultati, e il punteggio medio raggiunto dall’Europa nel Gender Equality Index, (71 punti su 100 con un miglioramento di 7.9 punti dal 2010 al 2024) ci siano ancora diversi dati che mostrano che nelle società europee gli uomini e donne non hanno le stesse chance.
Una donna su tre nell’UE ha subito violenza fisica e/o sessuale e le donne sono particolarmente prese di mira da nuove forme di violenza specifiche della sfera digitale. Per quanto riguarda gli aspetti di genere della salute, donne e uomini si trovano ad affrontare rischi per la salute e malattie specifiche per genere ma la ricerca è da sempre meno attenta alla salute delle donne. Le donne nell’UE infatti continuano inoltre a riscontrare una mancanza di informazioni complete e di accessibilità ai servizi e ai prodotti sanitari correlati alla salute sessuale e riproduttiva.
Sebbene i divari occupazionali e retributivi tra i sessi si stiano riducendo, i progressi sono lenti e permangono disuguaglianze e discriminazioni. La maggiore istruzione delle donne non si traduce nelle loro posizioni nel mercato del lavoro e nella presenza negli organi e nei processi decisionali. Le donne sono sovrarappresentate nei posti di lavoro poco retribuiti e sottovalutati (anche se essenziali) e corrono maggiori rischi di minacce e violenze che limitano la loro partecipazione alla vita pubblica: nell’UE le donne occupano solo il 33% dei seggi parlamentari. Un numero maggiore di donne rispetto agli uomini soffre la povertà in età avanzata, con un divario pensionistico di genere pari al 25,4%.
La Roadmap arriva nel 30esimo anniversario della Conferenza delle donne di Pechino e della sua Piattaforma d’Azione, considerata a livello mondiale un documento di riferimento per i diritti delle donne. Si concentra su 8 aree: libertà dalla violenza offline e online, standard di salute – anche sessuale e riproduttiva, nonostante questo sia un tema su cui più forti sono i contrasti nel PE e tra forze politiche – più alti, equità di retribuzione ed empowerment, equilibrio tra vita e lavoro e condivisione della cura, uguali opportunità e condizioni di lavoro, educazione inclusiva con uno sforzo non solo per aumentare il numero delle ragazze che si iscrivono nei corsi STEM, ma dei ragazzi che scelgono percorsi legati a professioni educative e di cura; partecipazione delle donne alla vita politica; supporto istituzionale con apposite strutture, bilancio adeguato e supportando le organizzazioni che si occupano di diritti delle donne (che potranno presentare progetti per contrastare la violenza contro le donne entro il 7 maggio).
L’approccio contenuto nel documento di presentazione della Roadmap non manca di richiamare che agire per una maggiore equità di genere è sì una questione di diritti, ma anche di aumento del PIL pro-capite, di competitività, e di rinforzo delle democrazie: dove vengono promossi i diritti delle donne, si tiene conto di una più ampio spettro di prospettive ed esperienze nei processi decisionali, portando a politiche pubbliche più complete e in sintonia con i bisogni di tutti i cittadini. “Non si tratta solo di equità, ma anche di competitività. La disuguaglianza di genere costa all’UE 370 miliardi di euro all’anno in termini di potenziale perso. Non possiamo permetterci di ignorarlo”, ha dichiarato nei giorni della presentazione della Roadmap la Commissaria per la parità Lahbib.
Il testo riafferma, positivamente, la necessità di un duplice approccio: l’integrazione della prospettiva di genere in tutte le politiche da un lato, e la prevenzione e l’eliminazione delle disuguaglianze di genere con interventi specifici dall’altro. La Roadmap disegna un percorso che influenzerà la prossima Strategia per la parità di genere post-2025 per cui nella primavera del 2025 sarà lanciata una consultazione pubblica aperta, che richiederà il coinvolgimento attivo e il contributo di tutte le parti interessate nella progettazione delle azioni da proporre nella Strategia.
Gli ambiti elencati dalla Roadmap indicano quindi un perimetro di azione attorno ad alcuni punti importanti, nonostante venga esplicitamente dichiarato il rispetto della responsabilità dei singoli stati membri su quanto concerne salute ed educazione.
Sappiamo bene che nell’europarlamento ci sono delle questioni tra quelle elencate nella roadmap, il diritto all’aborto su tutte, su cui è forte lo scontro tra le forze progressiste e quelle di destra ultra conservatrici e che questa contrapposizione rispecchia anche le differenze tra i diversi governi nazionali. Bisognerà quindi vedere come si sostanzierà l’impegno a muoversi verso gli obiettivi elencati.
E seppur siano presenti nella Roadmap i richiami alle disuguaglianze e alla giustizia sociale e un chiaro riferimento all’azione esterna della UE attraverso il documento relativamente agli interventi umanitari, al dialogo politico riferendosi ai valori di pace e sicurezza, è difficile essere ottimiste sulla possibilità di concreti e importanti passi avanti considerando anche la direzione generale che sta prendendo l’Unione europea, con politiche tutte tese al riamo, alla riconversione industriale, al contrasto al Green Deal. Questa direzione è foriera di rischi per la giustizia sociale e ambientale, che invece è un obiettivo strategico per chi considera importante adottare una prospettiva femminista intersezionale (che non è ad appannaggio esclusivo delle donne) che tiene insieme l’impegno per perseguire con le politiche e con un cambiamento culturale obiettivi di equità di genere e al tempo stesso di miglioramento delle condizioni di vita delle donne e delle persone LGBTQIA+, anche in una prospettiva che si intersechi con la razza, le condizioni socio-economiche, il background migratorio e tutte le condizioni di discriminazione.







